Direttiva sul copyright e cybercensura

Oggi, 12 Marzo, si celebra la giornata mondiale contro la cybercensura.

Un omaggio per tutti coloro che hanno perso la vita per difendere la propria libertà di pensiero. I governi di molti Paesi bloccano le comunicazioni in rete e lo scambio di informazioni, veicolano le notizie controllando gli organi di stampa e uccidono i giornalisti dissidenti. Inoltre attraverso società private attuano sistemi di filtraggio di tutte le informazioni che passano nel web.

Di “filtro preventivo” dei contenuti – in un’accezione che richiama apertamente la cybercensura – si è parlato anche in occasione della “direttiva sul copyright” che, dopo un lungo travaglio, dovrebbe trovare i suoi natali alla fine di questo mese.

Non pochi hanno evidenziato aspetti potenzialmente lesivi del diritto alla libera manifestazione del pensiero. Particolarmente contestati sono stati gli art. 11 e 13 che, obbligando le piattaforme web ad utilizzare sistemi di filtraggio dei contenuti caricati on line dagli utenti, avrebbe autorizzato un sistema di sorveglianza di massa delegata alle aziende.

Per capire se le preoccupazioni siano o meno fondate cerchiamo di capire cos’è il diritto d’autore.
Il diritto d’autore è quell’istituto giuridico che tutela i frutti dell’attività intellettuale mediante il riconoscimento di alcuni diritti di natura morale e patrimoniale.
In italia è regolamentato da alcuni articoli del codice civile, da una legge speciale (L.633/1941), dalla delibera AGCOM 680/13/CONS e da alcuni atti normativi interni della SIAE. Tutela fondamentalmente tutte le opere dell’ingegno di carattere creativo mediante l’automatico riconoscimento dell’opera al suo autore. In altri termini il diritto d’autore nasce con la semplice creazione dell’opera (art. 6 L. 633/1941). Ciò comporta che chi viene riconosciuto autore di un’opera avrà il diritto di utilizzarla economicamente (pubblicarla, trascriverla, riprodurla, rappresentarla, etc) vietando quindi l’uso ad altri, e potrà altresì impedire che siano fatti usi contrari alla sua personalità.

Bene, ma se non è prevista alcuna formalità al riconoscimento dell’opera al suo autore come faccio a dimostrare di essere proprio quella persona che l’ha creata?

La risposta sta nella regola della “prova di anteriorità”: la mia copia è precedente rispetto a quella di chiunque altro. Ad esempio nell’attuale società digitale diversi sono gli strumenti che consentono di attribuire una data certa ad un documento (firma digitale e marca temporale creano i metadati che avranno valore di prova legale).
È evidente che il diritto d’autore esiste anche in internet ed identiche saranno le regole che lo disciplineranno. Veniamo quindi al punto della questione: per ciò che ci siamo detti e quindi indipendentemente dal fatto che nulla sia indicato sul copyright (es: questa foto, articolo, video, etc è coperto da copyright), il diritto esiste e l’opera non potrà essere utilizzata da altri se non dal suo autore. E’ però innegabile che la condivisione e il riutilizzo delle opere trovate in internet sia tanto frequente quanto il non sapere che è vietato dalla legge. Nell’attuale scenario gli autori delle opere devono quindi adoperarsi per chiedere al content provider la rimozione del contenuto protetto.  ——

Qui si inserisce lo scopo della riforma (almeno secondo le sue dichiarate intenzioni): di fronte a regole obsolete l’attività intellettuale di piccoli artisti e giornalisti non viene – soprattuto nel web – correttamente tutelata. Le opere girano liberamente in rete senza che i loro autori percepiscano un compenso. Difficile, se non impossibile è quindi il controllo da parte degli autori che dovranno un po’ accontentarsi di quello che gli viene offerto nonostante la condivisione dei contenuti vada ben oltre quanto hanno percepito.
Cosa propone quindi la direttiva per correggere le “disfunzionalità” create dalla società digitale?

Due, dicevamo, gli articoli contestati.
L’articolo 11 prevederebbe la corresponsione di un compenso agli editori di giornali per l’utilizzo digitale delle loro pubblicazioni.
L’articolo 13 avrebbe invece voluto inserire l’obbligo di filtri automatici in tutti i portali web per limitare la diffusione online di opere senza il consenso dell’autore di queste. Consenso che dovrà quindi essere oggetto di specifici contratti di licenza.
In conseguenza dei due contrapposti interessi (diritto alla remunerazione degli autori e libertà di espressione nel web), il 12 settembre 2018, sono stati apposti alcuni emendamenti.
Per ciò che concerne l’art. 11, è stato introdotto il comma 1-bis che ha specificato che i diritti di remunerazione non sussistano se il caricamento di contenuti avvenga per fini non commerciali (wikipedia verrebbe in questo caso salvaguardata) e il comma 2-bis che ha escluso dalla “tassazione” i collegamenti ipertestuali e gli snippet (brevi ritagli di articoli che rimandano poi al link originario) nonché i contenuti a carattere satirico, critico o parodistico (Meme e GIF).

Inoltre, nei casi in cui ricorresse l’obbligo, non tutte le aziende dovranno pagare gli editori ma saranno escluse le startup e le piccole imprese ancora in fase di sviluppo.
L’articolo 13 invece fa ora riferimento soltanto a quei prestatori di servizi di condivisione di contenuti online che agiscono a fini commerciali e non a tutti gli attori della società dell’informazione. I colossi del web rimarrebbero quindi responsabilizzati per le violazioni del diritto d’autore realizzate all’interno delle loro piattaforme.
Le piattaforme web dovranno, da un lato, sottoscrivere accordi preventivi di licenza equi ed adeguati con i titolari dei diritti al fine di pubblicare (o meno) le loro opere, dall’altro adottare strumenti innovativi che limitino il potere dei loro utenti di caricare contenuti di altri.
È quindi sparito l’obbligo di adottare filtri automatici che potranno comunque essere utilizzati qualora altre soluzioni non garantiscano correttamente i diritti dei titolari.

Infine, per contrastare il problema relativo alla rimozione ingiustificata di contenuti viene prevista l’istituzione di meccanismi di reclamo e ricorso più celeri garantiti dalla possibilità di adire un organismo ad hoc in alternativa all’autorità giudiziaria.

La domanda, a questo punto, nasce spontanea: Cosa c’entra la direttiva sul diritto di autore con la cybercensura e la sorveglianza di massa?
Per i partiti populisti che hanno strutturato il proprio consenso attraverso i social, il timore di essere “imbavagliati” è più che un’ipotesi. Altri parlano di blitz delle lobby: le multinazionali decideranno chi e cosa potrà pubblicare.

Attenzione però alle strumentalizzazioni. Non tanto perché questi strumenti di controllo non siano potenzialmente pericolosi per la libera concorrenza del mercato. Nemmeno perché si possa escludere che i governi, nascondendosi dietro a società private e a leggi a tutela del copyright, vogliano legittimare un controllo capillare delle informazioni e veicolarle magari per scopi politici.
Le preoccupazioni sono certamente tutti condivisibili ma è decisamente presto per sapere quali saranno gli effetti concreti della riforma.

La possibilità – e non l’obbligo – di utilizzo di alcune “tecnologie di controllo” è sempre esistita. Quale sia l’uso che di tali tecnologie vogliano fare le grandi multinazionali non dipenderà certo dalla direttiva sul copyright. Vero è che verificare chi siano i titolari delle centinaia di opere – soprattutto quelle di piccoli artisti – che ogni giorno vengono pubblicate sul web è praticamente impossibile. Il rischio potrebbe essere quindi quello di eliminarle sul nascere. E ciò soprattutto a danno dei piccoli che non hanno rappresentanza (magari attraverso l’onerosa registrazione alla SIAE).

Ma ancora una volta saranno le applicazioni concrete a dare le risposte, soprattutto perché lo strumento normativo della direttiva lascerà margine ai singoli Stati per modificare quei dettagli che faranno la differenza.

Parlare quindi, a tale proposito, di cybercensura – soprattutto in occasione di questa giornata di lotta – pare, oltre che prematuro, anche poco pertinente.