Un caso reale: Air Canada ha dovuto risarcire un cliente dopo che il suo chatbot aveva fornito informazioni sbagliate. Il giudice ha rilevato che i clienti non avevano modo di sapere quale parte del sito (pagina o chatbot) fosse affidabile.
Indice
Il caso Air Canada e i pericoli di un’IA “sbagliata”
L’episodio Air Canada è emblematico dei rischi legati all’uso dell’intelligenza artificiale (IA) senza adeguata supervisione. Nel 2022 un passeggero chiese al chatbot di Air Canada come ottenere uno sconto lutto sul biglietto aereo per un funerale. Il chatbot rispose di acquistare il biglietto a tariffa piena e poi richiedere un rimborso parziale entro 90 giorni. Fidandosi di questa indicazione “ufficiale”, il cliente comprò il biglietto, ma si vide negare il rimborso perché la politica reale della compagnia non prevedeva sconti post-acquisto.
Quando il passeggero si lamentò, Air Canada cercò di scaricare la colpa sull’IA, sostenendo addirittura che il bot fosse un’entità separata “responsabile delle proprie azioni”. Il tribunale però ha respinto questa linea difensiva e condannato la compagnia a risarcire il cliente. Nella decisione è stato chiarito che il chatbot “è parte del sito di Air Canada” e che la compagnia risponde di tutte le informazioni fornite sul proprio sito, sia che provengano da una pagina statica sia da un chatbot.
In altre parole, un’azienda non può nascondersi dietro “l’errore del computer”: resta responsabile per ciò che l’IA comunica ai clienti. Questo caso (il primo del genere in Canada) mette in luce non solo l’impatto concreto di un’IA che sbaglia, ma anche un principio fondamentale: chi utilizza sistemi di IA deve garantirne l’affidabilità e si assume la responsabilità di eventuali danni causati da informazioni errate o malfunzionamenti.
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Il caso Air Canada ci insegna una lezione chiara: se l’intelligenza artificiale fornisce informazioni sbagliate, chi la utilizza è responsabile.⚖️ Se hai subito un danno a causa di un sistema di IA — come un chatbot o un algoritmo errato — sappi che esistono tutele legali.
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Il quadro normativo: come la legge affronta i rischi dell’IA
Quali tutele esistono in Italia se un sistema di IA causa un danno? Ad oggi, pur non esistendo ancora una legge specifica pienamente in vigore sull’IA, si applicano diverse norme generali per attribuire responsabilità e garantire risarcimenti. Allo stesso tempo, sono in arrivo nuove regole sia europee sia italiane pensate apposta per l’IA. Vediamo il quadro normativo in modo accessibile ma preciso.
Regolamento UE “AI Act”
L’Unione Europea ha approvato il primo Regolamento sull’Intelligenza Artificiale (noto come AI Act), entrato in vigore il 1º agosto 2024 e destinato ad applicarsi pienamente dal 2026. Questo regolamento introduce un approccio basato sul rischio: alcune applicazioni di IA saranno vietate (es. sistemi di sorveglianza massiva o manipolazione psicologica), molte saranno consentite con obblighi proporzionati al rischio, e quelle ad alto rischio dovranno rispettare requisiti stringenti prima di arrivare agli utenti. Ad esempio, l’AI Act considera ad alto rischio i sistemi di IA usati in ambito educativo (che influenzano l’accesso all’istruzione o il futuro professionale, come algoritmi che valutano esami) e gli algoritmi di credit scoring che possono negare prestiti ai cittadini. Per questi usi critici saranno obbligatori: valutazione e mitigazione dei rischi, qualità dei dati, tracciabilità dei processi, documentazione dettagliata, supervisione umana e trasparenza sulle decisioni automatiche. Ad esempio, chi sviluppa un algoritmo che decide se concedere un mutuo dovrà garantire spiegabilità e controllo umano, per evitare decisioni arbitrarie o discriminatorie. Inoltre, l’AI Act impone obblighi di trasparenza anche per sistemi a rischio limitato: se interagiamo con un chatbot dovremo essere informati chiaramente che stiamo parlando con una macchina e non con una persona. Il principio generale è che l’IA dev’essere sicura, trasparente e sotto controllo umano, altrimenti non potrà essere immessa sul mercato UE.
Legge italiana in via di approvazione
In parallelo all’iniziativa europea, anche l’Italia si sta dotando di una legge quadro nazionale sull’IA. Il 20 marzo 2025 il Senato ha approvato un disegno di legge (A.S. 1146, ora A.C. 2316) sulle “Disposizioni e deleghe al Governo in materia di intelligenza artificiale”, attualmente in discussione alla Camera. Questa legge nazionale intende promuovere un uso etico e responsabile dell’IA, allineato con l’AI Act europeo, ma aggiunge alcuni strumenti propri. In particolare, vengono istituiti organi di governance nazionale (presso AgID e ACN) per monitorare l’IA, si prevedono fondi e incentivi per l’innovazione, ma anche sanzioni penali per usi illeciti dell’IA (ad esempio manipolazione di dati o algoritmi a fini fraudolenti). Due principi chiave emergono dal testo italiano: formazione e trasparenza.
Da un lato si promuove l’educazione diffusa su opportunità e rischi dell’IA (nelle scuole, nel lavoro, nella pubblica amministrazione) per creare consapevolezza. Dall’altro, si introducono obblighi di chiarezza e tracciabilità: tutti i sistemi di IA usati da enti pubblici o aziende dovranno essere progettati per tracciare le decisioni (art. 14, co.1) e le persone hanno “diritto di sapere” quando una decisione viene presa da un algoritmo, potendo richiedere spiegazioni sul funzionamento del sistema (finalità, dati utilizzati, limiti).
Il disegno di legge stabilisce il dovere di trasparenza anche per i professionisti: chi utilizza sistemi di IA nel fornire un servizio (es. un avvocato che impiega un algoritmo di supporto) dovrà informare chiaramente il cliente in linguaggio semplice ed esaustivo. Inoltre, viene rafforzata la tutela della privacy: il cittadino potrà opporsi al trattamento dei propri dati da parte di un’IA in determinate situazioni (art. 4, co.3).
Infine, la legge italiana prevede che il Governo aggiorni continuamente le norme interne seguendo gli sviluppi dell’AI Act europeo, così da mantenere coerenza con il quadro UE. In sintesi, la futura legge nazionale enfatizza trasparenza, controllo umano e diritti degli utenti, integrandosi con il regolamento europeo per colmare eventuali lacune a livello locale.
Norme vigenti applicabili all’IA
In attesa che queste nuove regole entrino in vigore, se l’IA causa un danno oggi si devono usare le leggi esistenti, adattandole al contesto tecnologico. La responsabilità civile tradizionale offre diversi strumenti per tutelare gli utenti e spingere chi sviluppa o utilizza l’IA ad essere diligente.
Ecco le principali norme del Codice Civile e del Codice del Consumo che potrebbero essere applicate nel caso di specie
- Responsabilità per fatto altrui (art. 2049 c.c.): il codice stabilisce che i datori di lavoro e committenti rispondono dei danni cagionati dai propri dipendenti o ausiliari nell’esercizio delle mansioni. Ciò significa che se un impiegato di un’azienda, o anche un sistema automatizzato da essa messo a disposizione (come un chatbot sul sito), commette un errore che causa un danno a un cliente, l’azienda ne è civilmente responsabile. Il caso Air Canada lo conferma: la compagnia è stata ritenuta responsabile per le informazioni fornite dal suo assistente virtuale, analogamente a come lo sarebbe stata per un errore di un operatore umano. In pratica, l’IA aziendale viene trattata alla stregua di un “agente” della società: il fatto illecito compiuto dall’IA ricade su chi l’ha impiegata.
- Responsabilità per attività pericolose (art. 2050 c.c.): chi esercita un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi utilizzati, è responsabile dei danni causati, salvo provi di aver adottato tutte le misure idonee a evitarli. Alcune applicazioni di IA possono rientrare in questa categoria qualora comportino rischi elevati per beni o persone. Si pensi ad esempio a un sistema di guida autonoma o a un algoritmo che controlla macchinari industriali: dato il potenziale distruttivo di un loro malfunzionamento, l’operatore potrebbe essere chiamato a rispondere in base all’art.2050 c.c. senza che la vittima debba dimostrare la sua colpa. La dottrina parla in questi casi di responsabilità “no-fault” (senza colpa): conta solo il nesso causale tra attività pericolosa e danno, non la negligenza. Il nostro ordinamento conosce già da tempo questo modello, ad esempio proprio per i danni da attività pericolose (art. 2050 c.c.) e in altri ambiti come la responsabilità per danni da animali o da circolazione stradale (in quest’ultima ipotesi con conversione dell’onere della prova). Questo schema potrebbe essere applicato o esteso agli operatori di IA ad alto rischio: chi utilizza algoritmi potenzialmente pericolosi deve adottare tutte le cautele possibili, altrimenti ne risponde indipendentemente dalla prova di una colpa specifica. È un modo per colmare il responsibility gap delle nuove tecnologie con strumenti già esistenti, garantendo un equo risarcimento alle vittime.
- Responsabilità per cose in custodia (art. 2051 c.c.): il custode di una cosa (ovvero chi ne ha potere di fatto, controllo e disponibilità) risponde dei danni da questa cagionati, salvo il caso fortuito. Anche qui si tratta di una forma di responsabilità oggettiva: se un dispositivo o un sistema basato su IA – considerato come “cosa” – causa un danno, il soggetto che lo aveva sotto controllo ne risponde a meno che provi che l’evento dannoso è dipeso da cause eccezionali a lui non imputabili. Ad esempio, se un robot domestico intelligenteimpazzisce e provoca un incendio, il proprietario (o il produttore/venditore, a seconda delle circostanze) potrebbe esserne responsabile in base all’art.2051. Certo, l’applicazione diretta di questa norma all’IA è ancora da verificare in tribunale, ma rappresenta un’altra possibile strada per garantire tutela: chi introduce una “macchina intelligente” in ambiente domestico o lavorativo, di fatto la tiene in custodia e deve assicurarsi che non arrechi danni a terzi.
- Responsabilità aquiliana (art. 2043 c.c.): è la clausola generale del fatto illecito. Stabilisce che qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga chi l’ha commesso al risarcimento. Questa norma di chiusura si applica ogni volta che non ricorrono fattispecie speciali come quelle sopra citate. Nell’ambito IA, l’art.2043 c.c. opererà, ad esempio, quando un danno deriva da negligenza, imperizia o imprudenza di chi ha progettato, programmato o utilizzato il sistema di intelligenza artificiale. Se un fornitore lancia sul mercato un’applicazione di IA senza testarla adeguatamente, o un operatore umano la usa in modo irresponsabile, e ciò causa un pregiudizio a qualcuno (es. un’informazione sbagliata che provoca una perdita economica o un danno fisico), la vittima può agire chiedendo il risarcimento dimostrando la colpa (errore evitabile) del soggetto responsabile. Questo è il percorso seguito, ad esempio, dal passeggero di Air Canada, che ha ottenuto ragione sulla base del principio del neminem laedere (non causare danno ad altri) e della colpa della compagnia nel fornire informazioni fuorvianti tramite il suo sistema. Anche se l’IA è autonoma, c’è sempre a monte una catena di decisioni umane (nella progettazione, addestramento, configurazione) su cui può essere individuata una responsabilità per negligenza.
- Responsabilità contrattuale (art. 1218 c.c.): quando l’uso di un’IA avviene all’interno di un rapporto contrattuale, chi offre il servizio deve eseguirlo correttamente a pena di inadempimento. L’art.1218 c.c. prevede che il debitore che non adempie esattamente è tenuto al risarcimento del danno, salvo provi che l’inadempimento non gli è imputabile. Pensiamo a un servizio online dotato di IA: ad esempio un consulente finanziario automatizzato che, in virtù di un contratto, deve gestire i risparmi di un cliente secondo certe regole. Se l’algoritmo investe male i soldi per un bug o errore prevedibile, la società che lo gestisce non potrà scusarsi dicendo “è colpa dell’IA”, ma sarà considerata inadempiente e dovrà risarcire il cliente, a meno che dimostri che l’errore è dipeso da causa a lei non imputabile. Di fatto, usare IA non esonera dal garantire la diligenza nell’esecuzione delle obbligazioni contrattuali.
- Tutela del consumatore (Codice del Consumo): il Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005) fornisce ulteriori strumenti di protezione quando l’IA è incorporata in prodotti o servizi destinati ai consumatori. In caso di prodotto difettoso (ad esempio un elettrodomestico “smart” il cui software di IA presenta un malfunzionamento pericoloso), il produttore è responsabile dei danni causati dal difetto, secondo la disciplina del danno da prodotti difettosi (artt. 114-127 Cod. Cons.). Questo regime – anch’esso oggettivo – consente al consumatore di ottenere un risarcimento provando semplicemente il difetto, il danno e il nesso causale, senza dover dimostrare la colpa del produttore. In passato c’era dibattito se il software rientrasse nella definizione di “prodotto”; oggi a livello UE si è chiarito che anche i sistemi di IA e i software sono equiparati ai prodotti ai fini della responsabilità da difetto. Infatti, una nuova direttiva europea del 2024 ha aggiornato la normativa, estendendo espressamente il regime dei prodotti difettosi ai software e alle IA, così che chi subisce un danno causato da un sistema di IA possa ottenere ristoro con maggiore certezza giuridica. Questa direttiva (pubblicata a novembre 2024) dovrà essere recepita dagli Stati membri entro il 2026 e si applicherà ai prodotti immessi sul mercato dopo il 9 dicembre 2026. Nel frattempo, i consumatori italiani possono comunque far valere le norme attuali del Codice del Consumo, che già vietano le pratiche commerciali scorrette (ingannevoli o aggressive). Fornire un servizio basato su IA che trae in inganno l’utente (come nel caso del chatbot di Air Canada) o non informare chiaramente l’utente dei limiti del sistema potrebbe configurare una pratica ingannevole, sanzionabile dall’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato). Inoltre, per i beni e servizi digitali, dal 2022 è in vigore la normativa sulla conformità digitale: un servizio IA venduto al consumatore deve essere “conforme al contratto” e a quanto dichiarato dal venditore, altrimenti il consumatore ha diritto a rimedi (ripristino, sostituzione, riduzione del prezzo) analogamente a quanto avviene per i beni tradizionali. Insomma, le regole consumeristiche si stanno adattando per tenere conto delle peculiarità dell’IA, ma già ora non lasciano il consumatore privo di tuteladi fronte a errori o comportamenti sleali da parte di operatori che impiegano sistemi intelligenti.
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Da questo quadro normativo emerge un messaggio chiaro: l’IA non è un Far West senza legge. Anche in mancanza di una disciplina ad hoc completamente operativa, esistono principi giuridici solidi che possono essere applicati per attribuire la responsabilità e risarcire i danni. Naturalmente, ogni caso concreto andrà valutato adattando queste norme alla specificità tecnologica, ma utenti, famiglie e imprese devono sapere che diritti e doveri continuano a valere anche nell’era dell’intelligenza artificiale. Nel prossimo futuro, con l’AI Act e la legge italiana, avremo regole più specifiche ex ante (per prevenire rischi e imporre requisiti di qualità e trasparenza). Nel frattempo, in caso di problemi, entrano in gioco le norme ex post sopra descritte, con l’obiettivo di garantire che nessun danno da IA resti senza risposta giuridica.
Esempi di possibili danni da IA in diversi settori
Dopo aver visto il caso del chatbot aereo e il quadro delle responsabilità, consideriamo altri scenari in cui l’uso di IA potrebbe causare danni, toccando ambiti vicini alla vita quotidiana: la scuola, la salute e la finanza. Questi esempi aiutano a capire in concreto cosa può andare storto e perché è importante pretendere trasparenza e controllo umano.
Ambito scolastico (educazione)
Immaginiamo strumenti didattici basati su IA utilizzati a scuola per supportare gli insegnanti nella valutazione o nell’orientamento degli studenti. Ad esempio, un software di tutoring intelligente che traccia le performance degli alunni, ne analizza errori e progressi e magari elabora un profilo dello studente (abilità, lacune, potenziale).
Sulla carta sono tecnologie utili, ma nascondono rischi: potrebbero profilare minori in modo invasivo o distorto. Un algoritmo potrebbe etichettare prematuramente un ragazzo come “in difficoltà” sulla base di dati incompleti o bias culturali, influenzando negativamente le aspettative di insegnanti e genitori. Oppure, sistemi di sorveglianza algoritmica (già sperimentati all’estero) potrebbero monitorare il comportamento in classe o online degli studenti, violando la loro privacy e libertà. Il quadro normativo considera questi impieghi molto delicati: l’AI Act classifica le IA in ambito educativo come alto rischio, proprio perché possono incidere significativamente sui diritti e sul futuro dei minori.
Ciò significa che tali sistemi dovranno essere trasparenti, accurati e soggetti a controllo umano prima di essere utilizzati nelle scuole.
In Italia, anche il Garante Privacy ha più volte ricordato che i dati dei minori godono di particolare protezione: una profilazione automatica di bambini o adolescenti può avvenire solo nel rispetto di rigorose garanzie e con il consenso (quando richiesto) informato di chi esercita la responsabilità genitoriale. Il rischio, altrimenti, è di creare schedature digitali dei minori senza tutela, con possibili danni reputazionali e discriminazioni fin dalla giovane età.
Esempio ipotetico: una piattaforma di e-learning valuta tramite IA che un certo alunno “non è portato per le materie scientifiche” e consiglia di escluderlo da corsi avanzati; anni dopo quel ragazzo scopre che il suo percorso è stato deviato da un algoritmo opaco – un danno difficile da quantificare ma potenzialmente enorme in termini di opportunità perse.
Per evitare tali situazioni, è fondamentale chiedere trasparenza: genitori e scuole dovrebbero pretendere di sapere quali dati sui ragazzi sono raccolti, come sono usati e con quali criteri l’IA prende decisioni o formula raccomandazioni.
Gli utenti più giovani, poi, vanno educati a una cittadinanza digitale consapevole: devono capire che dietro consigli e valutazioni di un software ci sono scelte programmatorie non neutrali, che possono e devono essere messe in discussione se appaiono ingiuste.
📢 L’istruzione non può essere delegata a un algoritmo!
Oggi l’intelligenza artificiale entra nelle scuole con strumenti che promettono supporto, ma che possono anche profilare e influenzare il futuro dei nostri figli senza adeguati controlli.🎯 Un software può davvero decidere se tuo figlio è “portato” o meno per una materia?
E se sbaglia? Le conseguenze potrebbero durare tutta la vita.🔍 Genitori, educatori, dirigenti scolastici: chiedete trasparenza.
Avete il diritto di sapere:
- quali dati vengono raccolti sui minori
- come vengono usati
- quali criteri guidano le decisioni dell’IA
🛡️ La tutela dei minori passa anche da qui.
✏️ Pretendiamo strumenti educativi che rispettino la privacy, siano realmente inclusivi e sotto controllo umano.
In caso di dubbi, non restare in silenzio: Contattami per conoscere i tuoi diritti
Ambito sanitario (salute)
L’IA sta rivoluzionando la sanità, dai sistemi che aiutano a diagnosticare malattie ai chatbot che forniscono consulenza medica di base. Ma quali rischi se queste IA sbagliano?
Un chatbot medico potrebbe dare consigli errati o pericolosi a un paziente che cerca aiuto online. Ad esempio, un utente descrive sintomi a un assistente virtuale e questo minimizza un segnale di allarme (consigliando magari un semplice farmaco da banco) quando invece sarebbe necessaria una visita urgente; oppure, al contrario, genera allarmismi inutili.
Ci sono già casi che destano preoccupazione: uno studio ha esaminato le risposte di chatbot integrati nei motori di ricerca a domande su farmaci e terapie, scoprendo che molte informazioni erano incomplete o scorrette e in alcuni casi addirittura potenzialmente letali se seguite alla lettera. In particolare, il 22% delle risposte analizzate poteva portare a danni gravi o morte per il paziente, e un ulteriore 42% a danni moderati, a causa di errori o omissioni nei consigli forniti.
Questi numeri allarmanti evidenziano che affidarsi ciecamente a “Dr. Chatbot” può essere estremamente rischioso. Un esempio reale, avvenuto in Belgio nel 2023, ha visto un uomo cadere in depressione e togliersi la vita dopo aver dialogato a lungo con un chatbot che gli forniva consigli discutibili in ambito psicologico – un caso estremo che ha aperto il dibattito sull’impatto di AI coach non regolamentati.
Dal punto di vista legale, se un chatbot sanitario è offerto da una struttura (es. il sistema sanitario o una clinica privata), quest’ultima ne risponde come di qualsiasi altro servizio verso il paziente.
I dispositivi medici software basati su IA devono ottenere marcatura CE e rispettare standard di sicurezza, ma fuori da questi circuiti controllati (ad esempio app o siti generici) c’è il rischio di una sorta di terra di nessuno. Chi utilizza app o consulenti medici IA deve quindi essere doppiamente cauto: verificare sempre le informazioni con un medico in carne e ossa.
Dal lato dei professionisti, vige il dovere deontologico: un medico che decidesse di utilizzare l’IA a supporto della diagnosi non può delegare completamente il giudizio alla macchina; deve capire come funziona l’algoritmo, validarne i risultati e, in caso di dubbio, sovrapporre il proprio giudizio clinico. La responsabilità ultima rimane umana – un principio che andrebbe rispettato in ogni contesto critico. Per questo, molti esperti invocano più trasparenza e validazione per le IA in sanità: algoritmi “chiusi” che non spiegano il perché di una certa raccomandazione terapeutica non dovrebbero mai decidere al posto di un medico, e i pazienti dovrebbero essere informati quando una risposta o decisione ha origine automatica. In sintesi: l’IA in medicina è un alleato potente, ma va usata con prudenza, perché un suo errore può costare caro in termini di salute. Finché le IA non saranno infallibili (e probabilmente non lo saranno mai al 100%), l’occhio vigile dell’esperto umano e il diritto del paziente a un chiarimento rimangono indispensabili.
⚖️ Hai ricevuto una diagnosi errata da un chatbot o un sistema basato su IA?
La tecnologia può aiutare, ma non può sostituire la responsabilità umana. Se un consiglio medico automatizzato ti ha causato un danno – fisico, psicologico o economico – hai il diritto di chiedere un risarcimento.🔍 È fondamentale ricostruire cosa è successo, verificare se il sistema era certificato, se chi lo gestiva ha rispettato gli obblighi di legge e se ti è stata negata la possibilità di avere un intervento umano.
Non sottovalutare il danno: una diagnosi sbagliata può cambiare il corso di una vita.
💬 Se ti trovi in questa situazione, informati sui tuoi diritti. La legge sta evolvendo per proteggere chi subisce conseguenze da errori dell’intelligenza artificiale. Scrivimi qui per un confronto preliminare.
Ambito bancario/finanziario (credito e assicurazioni)
Sempre più spesso le nostre richieste di prestiti, mutui, assicurazioni vengono valutate da algoritmi di credit scoring o di risk assessment. Questi sistemi elaborano un punteggio di affidabilità creditizia in base a dati raccolti (storia creditizia, reddito, spese, perfino tracce sui social media in alcuni casi) e decidono se concedere o negare il servizio richiesto, oppure a quali condizioni (tassi d’interesse, massimali, premi).
Il problema è che tali decisioni automatizzate risultano spesso oscure: il cliente riceve un sì o no, ma non sa davvero perché. Questa mancanza di trasparenza può mascherare errori o bias: ad esempio, un algoritmo potrebbe penalizzare in modo scorretto certi gruppi di persone (per area geografica, etnia, età) perché addestrato su dati storici che riflettevano discriminazioni; oppure potrebbe basarsi su informazioni incomplete o non aggiornate (magari segnalazioni di credito errate) senza possibilità di rettifica immediata.
Un caso emblematico è emerso in Germania con il sistema di credit scoring della società SCHUFA: un cittadino si è visto rifiutare un prestito a causa di un punteggio negativo e ha contestato la decisione in tribunale, lamentando di non aver potuto sapere come fosse calcolato quel punteggio né contestarne i presupposti. Vicende simili accendono i riflettori sul diritto alla spiegazione.
In Europa il GDPR (Regolamento Generale Protezione Dati) interviene proprio su questo punto: le persone hanno il diritto di non essere sottoposte a decisioni interamente automatizzate che producono effetti giuridici significativi senza adeguate garanzie, tra cui il diritto di ottenere intervento umano, esprimere la propria opinione e contestare la decisione.
Inoltre, il GDPR impone trasparenza nell’uso dei dati: un consumatore ha diritto di sapere quali dati sono stati utilizzati per valutarlo e di ottenerne la correzione in caso di errori. Nel contesto bancario, si va dunque verso l’obbligo per gli istituti di spiegare in modo comprensibile i criteri dei loro algoritmi di scoring, almeno nelle componenti principali.
La Corte di Cassazione italiana, con una sentenza del 2021, ha affermato un principio innovativo: quando un algoritmo ci profila e può limitare i nostri diritti, il consenso che abbiamo dato al trattamento dei dati è valido solo se ci è stato spiegato chiaramente come funziona quell’algoritmo.
Significa che non basta far firmare moduli pieni di clausole: se una banca usa sistemi automatici per decidere sui clienti, deve essere pronta a rendere comprensibile il “perché” di un rifiuto.
Dal punto di vista dei rischi, la black box algoritmica può causare seri danni economici o esistenziali: pensiamo a un’impresa familiare che si vede negare un finanziamento vitale senza spiegazioni, o a una persona che non ottiene un mutuo per la prima casa perché un algoritmo la classifica erroneamente ad alto rischio. In entrambi i casi c’è un impatto concreto sulla vita delle persone. Se dovesse emergere che la valutazione era viziata (per errore di programmazione o discriminazione nei dati), l’istituto potrebbe essere chiamato a rispondere di fronte all’AGCM o in sede civile, per comportamento scorretto o addirittura per violazione antidiscriminatoria.
Anche qui, prevenire è meglio che curare: molte banche stanno cercando di bilanciare l’uso dell’IA con un tocco umano, ad esempio facendo sì che la decisione finale sul credito sia comunque validata da un funzionario, e soprattutto fornendo canali di reclamo e revisione al cliente. L’importante per gli utenti è sapere che hanno diritto a chiedere spiegazioni e rettifiche: non subite passivamente un “no” automatizzato, ma esercitate i vostri diritti (richiesta di accesso ai dati, opposizione al trattamento automatizzato, reclamo all’autorità se necessario).
La trasparenza algoritmica non è solo un dovere legale emergente, ma un fattore di fiducia: un sistema finanziario più trasparente nelle decisioni sarà anche più equo e sostenibile sul lungo periodo.
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Trasparenza, tracciabilità e responsabilità umana: perché sono cruciali
Dai casi ed esempi sopra analizzati emerge un fil rouge: per utilizzare in modo sicuro e affidabile l’IA servono trasparenza, tracciabilità e supervisione umana costanti. Questi concetti, che possono sembrare astratti, hanno in realtà implicazioni molto pratiche e rappresentano la linea di confine tra un’IA utile e un’IA pericolosa.
TRASPARENZA significa che deve essere sempre chiaro se e quando si ha a che fare con un sistema di intelligenza artificiale e, per quanto possibile, come questo sistema prende le sue decisioni. Un’IA trasparente non è una scatola magica: l’utente andrebbe informato sulle logiche di base (ad es. “Questo chatbot genera risposte automaticamente analizzando grandi quantità di testo, potrebbe commettere errori”) e sulle limitazioni (“Non prendere decisioni mediche basandoti solo su questo consiglio automatizzato”).
La trasparenza è fondamentale per mantenere la fiducia: se un sistema è opaco, l’utente potrebbe fidarsi ciecamente di qualcosa di sbagliato, oppure rifiutare in blocco una tecnologia utile perché non la comprende. Le normative nuove e esistenti insistono molto su questo punto: l’AI Act introdurrà obblighi di esplicita segnalazione dell’IA (es. etichette per immagini generate, avvisi nei chatbot); la legge italiana in arrivo prescrive chiarezza nelle decisioni automatizzate e diritto a spiegazioni; il GDPR e la Cassazione, come visto, richiedono spiegazioni per ottenere un consenso informato.
In pratica, trasparenza vuol dire ad esempio che un cliente sappia se sta parlando con un umano o un bot, che un cittadino capisca su quali criteri un algoritmo della PA ha deciso sul suo beneficio, e che tutti possano riconoscere un contenuto artificiale (pensiamo ai deepfake, per cui si vogliono watermark obbligatori). Senza trasparenza non c’è possibilità di controllo né di scelta consapevole.
TRACCIABILITÀ è strettamente legata alla trasparenza, ma si riferisce più agli aspetti tecnici: ogni decisione o azione di un sistema AI dovrebbe lasciare una sorta di impronta digitale verificabile. Vuol dire che i sistemi vanno progettati in modo da registrare i propri processi, consentendo eventualmente un audit a posteriori.
Ad esempio, un algoritmo che autorizza pagamenti potrebbe tenere un log di quali parametri ha valutato; un veicolo a guida autonoma registra continuamente sensori e scelte fatte, così da poter ricostruire cosa è successo in caso di incidente.
La tracciabilità serve a due scopi: da un lato permette di individuare gli errori (se qualcosa va storto, posso analizzare le tracce e capire dove l’IA ha sbagliato o se magari i dati di input erano fallaci); dall’altro crea un meccanismo di accountability (responsabilizzazione), perché chi sviluppa sa che le azioni del suo algoritmo sono monitorabili.
La legge italiana proposta impone proprio che i sistemi IA, pubblici o privati, siano “progettati per garantire la tracciabilità delle decisioni”. Questo è innovativo, perché finora molti algoritmi erano scatole nere insondabili; in futuro, non sarà più accettabile l’atteggiamento “non sappiamo perché l’IA ha fatto questo”.
La tracciabilità funge da scatola nera dell’IA: pensiamo a quanto è importante nel settore aereo poter analizzare i registri dopo un incidente – lo stesso deve valere per un crollo di borsa causato da un trading algorithm o per un malfunzionamento di un robot chirurgico. Per utenti e aziende, investire in tracciabilità significa poter diagnosticare i problemi ed evitare che si ripetano, e per le autorità significa poter vigilare efficacemente sul rispetto delle regole (non a caso l’AI Act richiederà log dei sistemi ad alto rischio). In sintesi, se non si può tracciare, non si dovrebbe utilizzare in contesti critici.
RESPONSABILITÀ UMANA (e supervisione umana) è forse il punto più importante: l’IA non deve mai essere lasciata completamente senza controllo da parte dell’uomo. Anche il sistema più autonomo e avanzato dovrebbe avere un “freno di emergenza” umano e qualcuno che ne risponde.
L’AI Act parla esplicitamente di human oversight, cioè misure che garantiscano adeguata supervisione umana sui sistemi ad alto rischio. Ciò non implica che l’uomo debba fare tutto al posto della macchina, ma che deve restare informato e in grado di intervenire/correggere se l’IA devìa.
Nel caso Air Canada, un minimo di supervisione (ad esempio controlli periodici sulle risposte che il chatbot forniva) avrebbe evitato il problema o almeno ridotto il tempo per accorgersene.
In generale, responsabilità umana significa due cose:
1) attribuire chiaramente chi è responsabile di un sistema IA (una persona fisica o giuridica deve farsi carico, non esistono “IA responsabili di sé stesse” – il tribunale l’ha ribadito chiaramente);
2) mantenere sempre un intervento umano possibile nei processi decisionali automatizzati più delicati.
Ad esempio, in ambito bancario, se un algoritmo blocca un’operazione sospetta, un operatore umano dovrebbe poi rivedere il caso su richiesta del cliente; in ambito medico, l’ultima parola spetta al sanitario; in ambito giudiziario (dove si discute l’uso di IA per valutare rischi di recidiva) è fondamentale che il giudice non deleghi il verdetto a un punteggio ma lo utilizzi solo come informazione aggiuntiva.
Perché è così cruciale? Perché l’essere umano, con tutti i suoi limiti, possiede capacità di giudizio morale, empatia, contestualizzazione che l’IA ancora non ha.
Solo un umano può bilanciare correttamente diritti e interessi in gioco, oppure assumersi la responsabilità di sbagliare: se un algoritmo nega un farmaco salvavita perché “statisticamente poco conveniente”, solo un medico può – assumendosene la responsabilità – decidere di darlo ugualmente guardando oltre i dati un caso particolare.
La presenza di un “pilota” umano rende anche più accettabile socialmente l’IA: sappiamo che c’è qualcuno a cui rivolgersi, che può capire le nostre ragioni.
In sintesi, trasparenza, tracciabilità e supervisione umana formano un trio inscindibile per un’IA affidabile. Come sottolinea efficacemente un’analisi legale recente, “la capacità di comprendere e spiegare come vengono prese le decisioni dell’IA è cruciale sia per rispettare le normative sia per mantenere la fiducia del pubblico”.
Le aziende devono assicurarsi che i loro sistemi di IA non siano solo efficaci, ma anche spiegabili e responsabili. Allo stesso modo, gli utenti dovrebbero favorire quei servizi che offrono trasparenza e possibilità di intervento umano, premiando con la fiducia chi dimostra un uso dell’IA etico e controllato.
📢 Non affidarti a scatole nere: l’IA deve essere chiara, tracciabile e sotto controllo umano.
⚠️ Un algoritmo che decide da solo, senza spiegazioni né responsabilità, non è progresso: è un rischio.
🔍 Chiedi trasparenza, pretendi che ogni decisione automatizzata sia comprensibile e verificabile.
👤 E ricorda: dietro ogni sistema di IA deve esserci sempre una persona che ne risponde.🛡️ La tecnologia deve servire l’uomo, non sostituirlo.
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Cosa possono fare utenti, famiglie e imprese: consigli pratici
Abbiamo visto che l’IA offre grandi opportunità ma comporta anche rischi reali se usata senza le dovute cautele. Come possiamo, nel nostro piccolo, tutelarci e agire in modo consapevole?
Di seguito alcune raccomandazioni concrete – rivolte ai diversi attori (utenti, famiglie, imprese), per trasformare quanto appreso in azioni preventive e, all’occorrenza, reattive:
Informarsi e formarsi sull’IA: La prima difesa è la conoscenza. Sia i consumatori che gli imprenditori dovrebbero dedicare tempo a capire almeno a grandi linee come funzionano i sistemi di IA che usano.
Ad esempio, se utilizzate un servizio online con chatbot o consigli automatizzati, cercate nella documentazione o nelle FAQ se viene spiegato come opera l’algoritmo, con quali fonti di dati e quali limiti ha.
Le imprese dovrebbero investire in formazione del personale sull’IA: uno staff “IA-literate” saprà usare questi strumenti in modo appropriato e coglierne anche i campanelli d’allarme.
Per le famiglie, è importante parlare di IA anche con i più giovani: spiegare ai figli che ChatGPT non è un oracolo infallibile, che gli algoritmi di TikTok o YouTube influenzano ciò che vedono, e insegnare un sano spirito critico digitale.
In breve: conoscere per non subire. Un utente informato riconosce una risposta strana di un chatbot e la verifica altrove, anziché prenderla per buona; un dirigente informato chiede ai fornitori di soluzioni IA garanzie di trasparenza e audit dei loro sistemi prima di acquistarli.
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Come avvocato con esperienza in diritto dell’innovazione e IA, offro alle imprese percorsi personalizzati di alfabetizzazione giuridico-tecnologica:
🔹 per comprendere come funzionano gli algoritmi che usano (o acquistano),
🔹 per saper distinguere opportunità da rischi,
🔹 per evitare errori che possono generare responsabilità legale o danni reputazionali.📊 Un’impresa informata sa valutare correttamente una piattaforma AI, pretende trasparenza dai fornitori e adotta policy interne in linea con le normative europee (AI Act, GDPR, Direttive UE in arrivo).
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Pretendere trasparenza e rispetto dei diritti:
Non abbiate timore di fare domande. Se un servizio utilizza IA, avete diritto a chiarimenti. Chiedete esplicitamente: “Questa decisione è stata presa da un algoritmo? Posso avere maggiori informazioni?”.
In ambito creditizio, ad esempio, esercitate il diritto di accesso ai vostri dati e di spiegazione sul punteggio assegnato (le banche dovrebbero fornirvi le motivazioni principali di un eventuale rifiuto, in termini comprensibili).
Nel settore pubblico, sappiate che esiste il diritto di conoscere se un procedimento amministrativo è automatizzato. Il nuovo disegno di legge italiano garantisce il diritto per cittadini e imprese di sapere quando c’è un processo decisionale algoritmico in corso e di ottenere spiegazioni sul funzionamento del sistema.
Fate valere questo diritto: ad esempio, se ricevete una multa o un provvedimento dalla macchina, potete chiedere all’ente spiegazioni su come l’IA ha operato.
Sul fronte privacy, tutela dei dati, ricordatevi del GDPR: potete opporvi a trattamenti automatizzati dei vostri dati che vi creano effetti significativi, potete chiedere la cancellazione di dati errati e segnalare al Garante Privacy eventuali abusi. In sostanza, siate utenti attivi e consapevoli: la trasparenza spesso non viene “regalata” dall’azienda o dall’ente, va sollecitata. Ma è un vostro diritto, e anche un’azienda seria dovrebbe apprezzare utenti che chiedono chiarimenti – significa che tengono alla correttezza del servizio.
Usare e programmare l’IA in modo responsabile:
Questa raccomandazione riguarda principalmente chi sviluppa o implementa soluzioni di IA (startup, reparti IT, provider tech) ma anche le aziende che le adottano. È essenziale adottare un approccio proattivo e prudenziale all’IA.
Cosa significa? Prima di tutto, valutare i rischi: fate un’analisi di cosa potrebbe andare storto col vostro sistema AI e chi ne subirebbe le conseguenze. Adottate misure per mitigare quei rischi prima del lancio. Inoltre, stabilite policy interne chiare sull’uso dell’IA: ad esempio, definire chi è responsabile di monitorare l’accuratezza del modello nel tempo, come gestire i dati in modo compliant, come segnalare tempestivamente eventuali incidenti o malfunzionamenti.
Prevedete di avvertire gli utenti dei limiti del vostro sistema: un semplice disclaimer “Questo consiglio è generato automaticamente, verificare sempre con un professionista” può educare l’utente ed evitare malintesi.
Addestrate l’IA su dati di qualità e aggiornati, per ridurre bias e errori, e fate periodicamente auditing degli output (testate le risposte del chatbot, i risultati dell’algoritmo, e correggete le deviazioni).
Infine, mantenete l’uomo in controllo: decidete in quali punti del processo è indispensabile un intervento o una revisione umana e assicuratevi che ciò avvenga davvero.
Ad esempio, un e-commerce che usa IA per moderare contenuti dei clienti dovrebbe comunque far rivedere i blocchi controversi a un operatore umano, per evitare censure ingiustificate. L’adozione responsabile dell’IA non è solo una questione etica ma anche di lungimiranza: riduce il rischio di cause legali, di danni reputazionali e di dover poi correre ai ripari dopo un incidente (a costi molto maggiori).
Come sintetizza un esperto: “le aziende devono essere trasparenti e assicurarsi che i sistemi di IA siano efficaci ma anche responsabili”. Un business che investe oggi in IA etica e affidabile avrà un vantaggio competitivo domani, perché conquisterà la fiducia di consumatori e regolatori.
Documentare i problemi e raccogliere prove:
Cosa fare se nonostante tutte le precauzioni qualcosa va storto? Se un chatbot vi dà un’informazione sbagliata che vi causa un danno economico, o un algoritmo vi discrimina?
La parola d’ordine è: documentare, documentare, documentare. Salvate schermate (screenshot) delle conversazioni con l’IA, conservate email, risultati anomali, report di errore. Queste prove possono rivelarsi decisive per far valere i vostri diritti.
Pensate al caso Air Canada: il passeggero ha vinto la causa perché aveva lo screenshot della chat che provava cosa il bot gli avesse promesso. Quando mesi dopo ha mostrato quell’evidenza, la compagnia stessa ha dovuto ammettere che il chatbot aveva usato “parole fuorvianti” e ha persino promesso di aggiornarlo. Senza quella prova, probabilmente la sua richiesta sarebbe rimasta lettera morta.
Dunque, se interagite con un sistema di IA e ottenete informazioni o decisioni importanti, tenete traccia. Nel caso di servizi continuativi, può essere utile anche registrare (laddove lecito) le sessioni o farsi inviare resoconti via email.
Se un algoritmo vi rifiuta un servizio, chiedete per iscritto le motivazioni (anche se non ve le danno, resta traccia della vostra richiesta). Annotate date, orari, eventuali nomi di referenti con cui avete parlato dopo l’evento. Tutto questo tornerà utile se deciderete di sporgere reclamo presso un’autorità o un’azione legale: avrete un dossier pronto da esibire.
Anche le aziende dovrebbero avere procedure interne di logging e incident reporting: se il vostro sistema IA fa un errore grave, registratelo, analizzatelo e – oltre a correggerlo – tenetene conto qualora utenti o autorità chiedano spiegazioni. Mostrare di avere consapevolezza degli incidenti e di come li avete risolti può mitigare le sanzioni e dimostrare la vostra buona fede.
📌 Danno da IA? La prova digitale è tutto.
Se un chatbot ti ha fornito informazioni sbagliate, se un algoritmo ti ha discriminato o se una decisione automatica ha inciso negativamente sulla tua vita o attività, non aspettare: documenta tutto in modo forense.
🕵️♂️ La digital forensics oggi è essenziale.
Uno screenshot, una conversazione salvata, un file di log o un report automatizzato possono fare la differenza tra un reclamo ignorato e un risarcimento ottenuto.🔐 Le prove digitali devono essere autentiche, integre e legalmente opponibili. Per questo è fondamentale:
- salvare in modo corretto le interazioni con chatbot e sistemi IA,
- annotare date, orari, identità dei soggetti coinvolti,
- richiedere per iscritto spiegazioni e motivazioni,
- affidarsi, se necessario, a strumenti o consulenti esperti in conservazione forense dei dati digitali.
📂 Anche le imprese devono dotarsi di procedure di logging e incident reporting tracciabili: ciò non solo consente di intervenire rapidamente in caso di errore, ma tutela l’azienda in caso di richieste risarcitorie o accertamenti.
💼 La responsabilità da IA non è più un tema futuribile. È attuale, concreta, e richiede strumenti adeguati: la prova informatica è il primo passo per attivare una tutela legale seria e credibile.
🔎 Se hai subito un danno o se sei un’impresa che desidera gestire correttamente i rischi da IA, rivolgiti a chi può supportarti nella raccolta, conservazione e valutazione legale delle prove digitali.
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Segnalare i danni e chiedere un aiuto professionale
Una volta raccolte le prove, non esitate a far valere i vostri diritti. Se siete consumatori e subite un danno da un prodotto/servizio IA, potete rivolgervi a una associazione di consumatori per una segnalazione o diffida.
Se ritenete violati i vostri dati personali o la vostra dignità da un trattamento algoritmico, potete presentare un reclamo al Garante Privacy.
In caso di pratiche commerciali scorrette (come promesse non mantenute da un servizio AI, pubblicità ingannevoli sul “miracoloso” potere dell’algoritmo, ecc.), potete segnalare all’AGCM.
Molte di queste autorità hanno già affrontato casi riguardanti l’intelligenza artificiale e potrebbero intervenire con sanzioni o imponendo correttivi alle aziende.
E naturalmente, c’è sempre la strada del ricorso giudiziario: valutate, magari con l’ausilio di un legale, se sussistono gli estremi per un’azione in tribunale (civile per ottenere un risarcimento danni, o eventualmente penale se ci sono profili di reato come truffa, lesioni, diffamazione a mezzo IA, etc.).
Certo, portare in giudizio questioni legate all’IA può essere complesso – servono periti tecnici capaci di spiegare al giudice il funzionamento dell’algoritmo, ad esempio – ma iniziano a formarsi delle best practice anche in questo campo. Il messaggio chiave è: non rassegnarsi all’inevitabilità del “bug”.
Se avete subito un torto, l’IA non è un’area franca: fate sentire la vostra voce nelle sedi opportune. Spesso anche solo una lettera formale o una richiesta di chiarimenti ben argomentata possono spingere l’azienda a porre rimedio (come minimo, aggiornare il software, offrire un rimborso volontario, ecc.), sia per correttezza verso il cliente sia per timore di danni d’immagine.
Per le imprese, questo punto suona inverso: ascoltate le segnalazioni degli utenti. Se più utenti lamentano lo stesso problema causato dal vostro algoritmo, prendetelo sul serio, indagatelo e rispondete in modo trasparente. Offrire canali di assistenza efficaci e risposte umane a valle di un errore dell’IA può spesso placare le acque ed evitare escalation legali.
In caso di danni conclamati, valutate voi stessi di proporre un equo risarcimento o accordo, invece di arroccarvi negando ogni responsabilità – il caso Air Canada insegna che negare l’evidenza può costare di più in termini economici e reputazionali.
Adottare un approccio etico e lungimirante:
Questa raccomandazione vale per tutti. Significa promuovere una cultura della prevenzione e della responsabilità condivisa.
Per gli utenti e le famiglie, vuol dire essere consapevoli sia dei benefici sia dei rischi dell’IA, utilizzandola in modo vigile: sfruttare pure le comodità che offre (dai suggerimenti personalizzati all’automazione di compiti noiosi), ma senza spegnere il senso critico. Non delegate scelte importanti (salute, finanze, educazione dei figli) interamente a una macchina: l’IA può assistervi ma la decisione finale deve rispecchiare i vostri valori e la vostra comprensione della situazione.
Per le imprese, adottare un approccio etico vuol dire integrare i principi di AI ethics nei propri modelli di business: assicurarsi che l’uso dell’IA rispetti la dignità delle persone, non le discrimini, sia trasparente e giusto. Questo non è solo un dovere morale, ma sta diventando rapidamente un requisito normativo e di mercato. In un’epoca in cui i consumatori scelgono le aziende anche in base alla loro responsabilità sociale e digitale, essere all’avanguardia nella gestione responsabile dell’IA potrà fare la differenza. Infine, tutti insieme – cittadini, imprese, istituzioni – dovremmo sostenere la richiesta di regole chiare e di un dibattito pubblico informato sull’IA. L’AI Act europeo e la legge italiana in discussione sono passi importanti: restiamo aggiornati, partecipiamo alle consultazioni pubbliche, chiediamo ai nostri rappresentanti politicamente di tenere alta l’attenzione su questi temi. Un ecosistema digitale sicuro si costruisce anche con la pressione positiva dell’opinione pubblica informata.
In conclusione, l’intelligenza artificiale può essere uno strumento straordinario al servizio di utenti, famiglie e imprese, ma solo se conosciamo i rischi e le responsabilità che comporta il suo utilizzo. Il caso Air Canada ci insegna che non esiste “autoregolamentazione” magica dell’IA: serve l’intervento umano consapevole a guidarla, la trasparenza per fidarci e il diritto pronto a intervenire quando qualcosa va storto. Facciamo dunque in modo di essere parte attiva in questa rivoluzione: informiamoci, pretendiamo rispetto e correttezza, e all’occorrenza non esitiamo a far valere i nostri diritti. Solo così potremo sfruttare i vantaggi dell’IA minimizzando i rischi, in un equilibrio che tuteli innovazione evalori fondamentali.
Come dice un detto adattabile all’IA: “Trust, but verify” – fidiamoci (con giudizio) delle nuove tecnologie, ma verifichiamo sempre, perché la nostra tutela e i nostri diritti vengono prima di qualsiasi algoritmo.