Matched Betting con Multi Account: Rischi Penali reali per chi usa identità altrui

Il matched betting con multi account – ossia aprire account multipli sui siti di scommesse utilizzando l’identità altrui (documenti di amici o parenti) – è una pratica sempre più diffusa tra gli scommettitori che vogliono massimizzare i bonus. Tuttavia, nasconde rischi penali molto seri e reali.

In questo articolo analizziamo in dettaglio i reati che possono configurarsi (sostituzione di persona, truffa contrattuale (anche aggravata), riciclaggio/autoriciclaggio, frode fiscale), con esempi pratici e riferimenti a giurisprudenza pertinente.

In chiusura, indicheremo soluzioni concrete che, in base alle modalità di utilizzo, potrebbero evitare, mitigare o addirittura aumentare tali rischi. Non senza tralasciare gli aspetti più tecnici legati alle metodologie utilizzate dalle autorità di controllo per effettuare indagini informatiche.

Sostituzione di persona (art. 494 c.p.): usare un’identità altrui è reato

Il primo e più immediato rischio penale del matched betting con account intestati a terzi è la sostituzione di persona ex art. 494 c.p. In base alla legge italiana e alla giurisprudenza, creare o utilizzare un account online con i dati di un’altra persona integra il reato di sostituzione di persona. Ciò vale anche se la persona “prestatrice” dei documenti è consenziente: infatti, non è necessario che l’intestatario subisca un danno o sporga querela. Nel caso del multi-accounting, chi si registra su un sito di scommesse con l’identità di un amico o parente sta di fatto fingendo di essere un altro soggetto agli occhi del bookmaker, inducendoli in errore sulla propria identità. Questa condotta rientra pienamente nella fattispecie penale descritta dall’art. 494 c.p.

Esempio pratico: Tizio ha già sfruttato i bonus di benvenuto con il proprio account e decide di chiedere a Caio (amico/parente) i documenti per aprire un nuovo account a nome di Caio. Tizio poi effettua le scommesse usando quell’account, fingendo di essere Caio. Anche se Caio è consenziente e magari riceve una parte dei profitti, Tizio sta usando un’identità non sua e commette sostituzione di persona. Diversi interventi hanno confermato – seppur non per questa specifica pratica del multiaccount nel matched betting – che fattispecie analoghe hanno integrato diversi illeciti penali.

Il fatto che non siano attualmente riscontrabili, in Italia, sentenze di condanna relative ai casi di multi-account betting, non significa che non siano stati avviati procedimenti e/o processi penali nei confronti di alcuni soggetti. È invece altamente probabile che esistano pronunce di condanna in fasi preliminari al dibattimento non pubblicate perché celebrati con particolari riti alternativi disciplinati dal codice di procedura penale. Scrivimi qui per una consulenza personalizzata

Va sottolineato che il consenso dell’interessato non esclude il reato. La Cassazione ha ritenuto punibile chi crea account con dati altrui persino nei casi in cui la “vittima” non subisce un immediato pregiudizio personale. Nel matched betting multi-account, la finalità è ottenere vantaggi economici (bonus) sfruttando identità diverse: ciò basta a configurare l’elemento del “procacciamento di un vantaggio indebito” tramite falsa identità. La giurisprudenza in più sentenze ha ribadito che, anche con il consenso dell’amico, si commette reato, perché si ottiene un guadagno indebito arrecando un danno al bookmaker, il quale eroga un bonus a cui l’autore, con la propria vera identità, non avrebbe diritto.

Dunque l’eventuale accordo con l’intestatario non scrimina la condotta: il rischio penale di sostituzione di persona rimane concreto. Finché l’amico è consenziente – e qui correo nella realizzazione del fatto di reato – sicuramente non vi sarà querela da parte sua, ma se il bookmaker scoprisse l’inganno potrebbe agire penalmente. In ogni caso si rimane passibili di indagine penale d’ufficio qualora emergano profili di truffa aggravata o altri reati connessi.

Truffa contrattuale (art. 640 c.p.) ai danni dei bookmaker

Oltre alla falsa identità in sé, il meccanismo del multiaccount nel matched betting configura potenzialmente una truffa contrattuale ai sensi dell’art. 640 c.p.. Si parla di truffa ogniqualvolta qualcuno, con artifizi o raggiri, induce un soggetto in errore procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno. Nel nostro contesto, l’artificio consiste proprio nell’utilizzare identità diverse (e spesso documenti falsi o altrui) per ingannare il bookmaker sul fatto che si tratti di nuovi clienti distinti, così da ottenere più bonus. Il bookmaker viene indotto in errore sulle generalità dell’utente e sulla legittimità dell’offerta bonus, erogando incentivi che non avrebbe concesso se avesse conosciuto la vera identità (ad esempio, scoprendo che è la stessa persona già beneficiaria su un altro account). In tal modo l’autore del multiaccount ottiene un profitto ingiusto (bonus e vincite correlate) e cagiona un danno patrimoniale al bookmaker (che eroga bonus non dovuti). Questo schema rientra perfettamente nella definizione di truffa contrattuale, poiché il raggiro avviene al momento della conclusione del “contratto” di gioco (l’apertura del conto scommesse) ed è finalizzato a conseguire un vantaggio economico illecito a spese dell’operatore.

La pratica del multi-accounting è unanimemente considerata un comportamento fraudolento nel settore del gioco online, al pari del bonus abuse. Una fonte editoriale di settore – in commento ad una sentenza di condanna a 5 anni nei confronti di uno scommettitore anglosassone – correttamente evidenziava che. potrebbero integrarsi, oltre ai presupposti della truffa e delle sostituzione di persona, anche quelli di altri gravi reati come riciclaggio di denaro e la frode fiscale.

Dunque, già a livello descrittivo, chi fa matched betting con account multipli sta perpetrando un inganno ai danni del bookmaker, che può assumere rilevanza penale. In Italia le società di scommesse, di fronte a tali condotte, tendono perlopiù a limitarsi a sanzioni contrattuali (ban degli account e blocco dei fondi) e raramente sporgono querela, ma ciò non significa che la truffa non sussista. 

La truffa multi-accounting è un tipico illecito dell’ “online” che, come tutti i crimini informatici, fatica ad essere perseguito. Va però ricordato che le tecnologie, come le normative a supporto, si stanno evolvendo, anche a favore delle autorità inquirenti che hanno più mezzi e basi giuridiche per esercitare l’azione penale.

Va tuttavia sottolineato che la recentissima novella legislativa (L. 80 del 9 giugno 2025) ha modificato, oltre che la cornice edittale, anche il regime di perseguibilità rendendo perseguibili a querela, non solo le fattispecie aggravate dall’uso di  “strumenti informatici o telematici idonei a ostacolare la propria o altrui identificazione” (art 640 2ter) ma anche nell’ipotesi della “minorata difesa” (art.61 cp. n. 5 richiamato dall’art. 640 comma 3°): “Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo che ricorra taluna delle circostanze previste dal  secondo comma, a eccezione di  quella  di cui al numero 2-ter), e dal terzo comma“. Quindi, da oggi, in applicazione del principio del favor rei, nemmeno “l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” potrà essere considerata una condotta perseguibile d’ufficio.

Esempio pratico: Sempronio crea 5 account su un sito di scommesse usando i documenti di altrettanti amici/parenti, depositando e sbloccando i bonus di benvenuto da 100€ ciascuno. Ottiene così 500€ in bonus che, tramite le scommesse abbinate, trasforma in denaro prelevabile con profitto garantito. Il bookmaker subisce un danno economico (500€ di bonus elargiti illegittimamente) e Sempronio realizza un profitto ingiusto. Questo scenario concreta gli elementi della truffa: il raggiro sta nell’aver presentato ogni volta un’identità fittizia per sfruttare il bonus, traendo in inganno la società di betting. Tuttavia, salva la commissione di altri più gravi reati perseguibili d’ufficio (si veda infra), il procedimento penale nei conforti di Sempronio sarà azionato solo qualora il Boomaker presenti denuncia querela.

Autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.) dei profitti illeciti

Un ulteriore profilo di rischio penale riguarda la fase successiva, ovvero la gestione dei proventi ottenuti con il matched betting multiaccount. Se i guadagni derivano da attività illecite (nel nostro caso, da sostituzione di persona e truffa contrattuale), essi sono da considerarsi provento di reato. Di conseguenza, qualunque operazione tesa a ostacolare l’identificazione della loro provenienza illecita può integrare il reato di riciclaggio (se compiuta da soggetti diversi dall’autore del reato presupposto) o di autoriciclaggio (se compiuta dallo stesso autore del reato, reinvestendo o occultando i propri profitti illeciti).

Nel contesto del multiaccount, è prassi comune che il denaro delle vincite finisca su conti intestati ai prestanome (amici e parenti) per poi essere girato, in contanti o con bonifici, al vero organizzatore per effettuare altre operazioni fraudolente. Questi passaggi finalizzati al reimpiego di somme potrebbero sembrare “normali” ma costituiscono un tentativo di ripulire il denaro celandone l’origine fraudolenta, e reimpiegarlo in un’attività strutturata (ad esempio quella mascherata in una finta attività consulenziale).

Ad esempio: se un amico incassa sul proprio conto bancario le vincite dal conto di gioco intestato a lui, e poi gira tali somme al soggetto che ha effettivamente fatto le scommesse al fine di effettuare altre scommesse, entrambi potrebbero essere accusati di autoriciclaggio in quanto il trasferimento di denaro avviene nella consapevolezza e con l’intento di occultarne la provenienza e reinvestirlo. Il caso più eclatante è quello di crea un’attività fittizia dove un soggetto offre finte consulenze ma di fatto gestisce gli account dei clienti (verso i quali fa fattura) al fine di recuperare le somme vinte.

Non vi è invece autoriciclaggio se i proventi del reato vengono “consumati” per proprie esigenze/bisogni personali in quanto manca l’elemento di “reimpiego” strutturato in attività economiche, finanziarie o speculative richiesto dalla norma e poiché la finalità non è ostacolare la provenienza, ma usufruire direttamente del provento illecito.

Ad esempio: Se un soggetto “vince” 20.000 euro mediante “truffa multiaccount” e spende 5.000 euro per una vacanza non è autoriciclaggio. Se le spese apparentemente personali sono fatte con modalità elusive (es. tramite intestazioni fittizie, conti esteri, criptovalute, prestanome, finte attività consulenziali), allora può integrare autoriciclaggio perché mirano a nascondere la provenienza.

Da segnalare che il riciclaggio/autoriciclaggio sono reati molto gravi, puniti con pene detentive elevate (fino a 12 anni per il riciclaggio e 8 per l’autoriciclaggio, aumentabili in presenza di aggravanti). Non è affatto remoto che un’operazione di matched betting multiaccount di dimensioni consistenti attiri sospetti di questa natura. Basti pensare al volume di denaro che può transitare su più conti intestati a terzi e poi confluire verso un unico soggetto: a tutti gli effetti, sembra lo schema di una tipica attività di money laundering.

È significativo che in un caso inglese citato in precedenza, relativo a multi-account nel poker online, un familiare dell’autore fu incriminato specificamente per riciclaggio di circa 230.000 sterline provenienti dalle frodi commesse dal figlio. Anche le autorità italiane sono molto attente a questi flussi: ricordiamo che le normative antiriciclaggio obbligano gli operatori finanziari a segnalare movimenti sospetti di denaro, specie se transitano su conti intestati a soggetti diversi da chi ha generato i fondi.

Dunque, il rischio concreto è che i guadagni da matched betting multiaccount, se movimentati in modo opaco tramite conti di comodo, facciano scattare indagini per riciclaggio. In sintesi, non basta preoccuparsi di ottenere il bonus: occorre chiedersi come giustificare in modo lecito quei proventi che spesso vengono riutilizzati per effettuare altre operazioni illecite.

Se si tenta, ad esempio, di “nascondere” l’origine del denaro – magari creando attività fittizie (Si veda intra) – si entra nel campo del riciclaggio/autoriciclaggio, con conseguenze penali ben peggiori del semplice ban di un account.

Partita IVA fittizia per simulare consulenza: reati tributari per prestazioni inesistenti?

Un escamotage che alcuni matched bettor utilizzano per cercare di legittimare l’attività multiaccount è quello di aprirsi una Partita IVA dichiarando di operare come “consulente” o tipster per le scommesse altrui. In pratica, provano a mascherare l’operazione: invece di ammettere che stanno gestendo in prima persona account con identità altrui (il che è reato, come visto), fingono che i titolari degli account siano clienti che ricevono una consulenza in ambito di scommesse. 

Attenzione: questo stratagemma, lungi dal mettere al riparo da problemi, può aggravare la posizione di chi lo adotta. Vediamo perché.

Innanzi tutto, se la Partita IVA viene aperta solo fittiziamente, senza un’effettiva attività di consulenza distinta dal multiaccount, si configura un abuso. L’Amministrazione finanziaria e l’autorità giudiziaria potrebbero interpretarla come un tentativo di creare una copertura formale per proventi illeciti, cioè una specie di cartiera volta a generare fatture false o gonfiate.

Emettere fatture per operazioni inesistenti  (ad esempio fatturare consulenze a amici/parenti che in realtà servono solo a giustificare i trasferimenti di denaro derivanti dalle vincite) potrebbe costituisce reato tributario (uso di fatture per prestazioni inesistenti, D.Lgs. 74/2000) e in ogni caso, quand’anche non quadrabile in questa fattispecie, diventa una prova ulteriore dell’intento di occultare la reale natura dei guadagni. In sostanza, si rischierebbe di aggiungere ai reati già visti (494, 640 c.p., 648ter 1 cp) ulteriori imputazioni come frode fiscale, aggravando notevolmente il quadro accusatorio.

Va poi considerato che presentarsi come consulente non elimina affatto il reato di sostituzione di persona, se in concreto siete voi a usare le credenziali del cliente per scommettere. Un contratto di consulenza non autorizza certo a spacciarsi per il cliente online: quella rimane una condotta illecita comunque.

Al più, impostare un rapporto contrattuale vero con gli amici/parenti potrebbe essere una soluzione lecita solo se cambiate il modus operandi, ovvero: il cliente si registra e scommette personalmente (con i propri dati reali), seguendo i consigli tecnici del consulente, ma senza cedere a quest’ultimo l’uso dell’account. In tal caso, infatti, non vi sarebbe sostituzione di persona (nessuna falsa identità presentata al bookmaker).

Tuttavia, se il consulente percepisce compensi significativi, occorre gestirli in modo regolare. La legge italiana prevede che oltre una certa soglia di introiti annui da attività di questo tipo (circa 5.000 € l’anno), non si possa più operare come “prestazione occasionale” ma si debba aprire Partita IVA e dichiarare i redditi. Ciò significa che anche volendo operare in modo lecito come consulente, bisogna farlo seriamente: aprire una posizione fiscale reale (non fittizia), emettere fatture veritiere per prestazioni di consulenza effettivamente svolte, pagare le imposte dovute e rispettare la normativa di settore (che nel caso di consulenze sul gioco potrebbe anche richiedere particolari attenzioni, data la delicatezza della materia).

Insomma, aprire una Partita IVA fittizia pensando di “coprire” il multiaccount è un grave errore. Si passa dalla “padella alla brace”: oltre ai reati iniziali (sostituzione, truffa, autoriciclaggio rafforzato dall’intesto di “pulire” le somme) si rischierebbe di incorrere in reati fiscali.

Se invece si vuole operare in trasparenza, la Partita IVA deve essere accompagnata da un vero cambio di approccio (consulenza pura, senza violare regole e con tracciabilità totale). In assenza di ciò, resta elevato il pericolo di aggravamento della posizione giuridica: un’attività illecita mascherata da attività lecita può far apparire l’autore come ancor più intenzionato a ingannare le autorità, precludendo soluzioni indulgenti. Le procure, in caso di indagine, valuteranno questi accorgimenti fittizi come indice di premeditazione e sistematicità, elementi che tipicamente portano a contestare le aggravanti del caso e a respingere eventuali attenuanti.

Qual misure ti sono state consigliate? Contattami per ottenere una consulenza sul tuo caso.

Come evitare o mitigare i rischi: soluzioni concrete e consigli legali

Chi ha praticato o sta praticando matched betting con multi account deve rendersi conto della portata dei rischi penali descritti. È fondamentale agire subito per evitare guai maggiori. Ecco alcune soluzioni concrete che ti suggerisco per mitigare i rischi:

  • Cessare immediatamente le pratiche illecite: sembrerà banale ma la soluzione più sicura è interrompere il multiaccounting. Continuare a usare identità altrui per scommettere espone a conseguenze penali pesanti e, se l’attività prosegue nel tempo, aumenta la probabilità di essere scoperti (ad esempio tramite controlli incrociati dei bookmaker su IP, device, movimenti di denaro, ecc.). Fermarsi ora limita il periodo di eventuale responsabilità e dimostra pentimento in caso di successive contestazioni. Meglio rinunciare a qualche bonus che rischiare un procedimento penale e sporcarsi la fedina penale.
  • Optare per veri contratti di consulenza al posto del multiaccount: come accennato, esiste un modo lecito di collaborare con amici e parenti nel matched betting, ossia trasformarsi in consulente di scommesse senza sostituirsi a loro. In pratica, il titolare dell’account deve operare in prima persona, mentre voi vi limitate a fornire istruzioni, strategie e supporto tecnico. Formalizzate questa collaborazione con un contratto di consulenza scritto, in cui vengono definiti il servizio (es. consulenza su puntate abbinate, scelta dei bookmaker, gestione del bankroll) e il compenso (ad esempio una percentuale sulle vincite effettive). Così facendo, tutti gli account rimangono intestati ai rispettivi proprietari reali (niente false identità), ed eviterete il reato di sostituzione di persona.
  • Attenzione: questo modello funziona solo se rispettate rigorosamente i ruoli – il consulente non deve mai loggarsi personalmente negli account altrui né operare al posto del cliente. Se tenete separate le cose, i bookmaker al massimo potranno bandire l’account se sospettano una violazione dei T&C, ma difficilmente ci saranno estremi di reato penale, perché ogni conto è usato legittimamente dal suo intestatario. Naturalmente, come detto, se l’attività di consulenza diventa abituale e retribuita, dovrete inquadrarla legalmente (P. IVA, fatture, ecc.) per non incorrere in irregolarità fiscali.
  • Garantire massima tracciabilità documentale: un consiglio prudente è quello di documentare tutto. Conservate copie dei documenti d’identità e dei consensi scritti delle persone coinvolte (se siete ancora nelle fasi iniziali, fatevi rilasciare almeno una dichiarazione in cui l’intestatario del conto conferma di avervi autorizzato all’uso dei suoi dati – pur sapendo che ciò non elimina il reato, può tornare utile per dimostrare l’assenza di intenti malevoli verso di lui, riducendo il rischio di querele da parte dei “correi”). Se formalizzate il reale rapporto di consulenza, mettete tutto nero su bianco con contratti dettagliati. Tenete traccia dei flussi di denaro: ogni trasferimento di vincite dai vostri “clienti” a voi dovrebbe avvenire con modalità tracciabili (bonifico con causale chiara, ad esempio “corrispettivo consulenza su scommesse”) e risultare da un accordo contrattuale. La documentazione completa servirà sia in chiave preventiva (per scoraggiare accuse infondate, mostrando che non c’è volontà di truffare i singoli né di creare circuiti occulti di denaro) sia in caso di contenzioso, per costruire una linea difensiva. Trasparenza e tracciabilità sono nemiche dell’autoriciclaggio: se ogni euro ha una reale giustificazione, sarà più difficile contestarvi operazioni sospette.
  • Avvalersi di assistenza legale preventiva: consultare fin da subito un avvocato penalista esperto in reati informatici e diritto delle scommesse è una mossa saggia. Un professionista potrà analizzare nel dettaglio la vostra situazione specifica e segnalarvi i comportamenti da interrompere immediatamente, nonché suggerirvi come rimediare ad eventuali violazioni già commesse. Inoltre, l’avvocato potrà assistervi nel caso in cui abbiate già ricevuto contestazioni da parte di bookmaker (es. chiusura account e congelamento fondi) o peggio, notifiche dalle autorità. L’assistenza legale preventiva vi aiuta a navigare la transizione verso la legalità riducendo il rischio di autodenunce involontarie: ad esempio, gestendo correttamente la comunicazione con i bookmaker per riottenere fondi bloccati senza ammettere responsabilità penali, oppure consigliandovi su come regolarizzare i proventi fiscali nel modo meno esposto possibile. Ricordate che il diritto penale premia chi dimostra di essersi ravveduto: muoversi con il supporto di un legale per sanare la propria posizione può fare la differenza tra una potenziale indagine archiviata e un processo penale.
  • Se siete incerti sui passi da compiere, non improvvisate: rivolgetevi a un avvocato penalista di fiducia prima di intraprendere qualsiasi iniziativa, così da avere una strategia legale chiara e tutelante. Contattami per ottenere una consulenza personalizzata.

Controlli informatici da parte della Procura della Repubblica e ruolo di SOGEI e ADM: cosa rischia chi usa VPN o altri strumenti di mascheramento

Nel matched betting con multi account, l’utilizzo di identità altrui lascia tracce digitali che possono essere intercettate non solo dai bookmaker, ma anche da soggetti pubblici come SOGEI (Società Generale d’Informatica, partner tecnologico del MEF) e l’ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli), ente regolatore del gioco legale in Italia.

Attraverso l’interconnessione tra i sistemi dei concessionari di gioco e il circuito SOGEI, ogni accesso, operazione e vincita è registrato e monitorato in tempo reale. L’ADM, in quanto autorità di vigilanza, effettua controlli incrociati su:

  • frequenza delle registrazioni da un singolo dispositivo/IP;
  • intestazioni multiple di conti con identità sospette;
  • anomalie nei flussi di vincita/prelievo;
  • eventuale elusione dei limiti previsti dalla normativa (es. autoesclusione, limiti settimanali di gioco, requisiti KYC).

In caso di comportamenti anomali o sospetti, SOGEI segnala automaticamente l’irregolarità all’ADM, che può attivare verifiche approfondite e, nei casi più gravi, inoltrare il dossier alla Guardia di Finanza o alla Polizia Postale. Le indagini possono portare al sequestro dei dispositivi usati, all’analisi forense dei log e dei browser, al tracciamento dei flussi di denaro e all’identificazione dell’effettivo gestore dei conti.

Le tecnologie di fingerprinting, analisi IP, tracciamento SIM e video KYC, combinate con i sistemi di monitoraggio centralizzato SOGEI, rendono estremamente difficile nascondere l’identità reale dell’utente, anche con l’uso di VPN, dispositivi dedicati o browser isolati. Inoltre, paradossalmente, proprio l’adozione di tali misure può insospettire i sistemi antifrode, aggravando la posizione in caso di indagine. È sempre preferibile affidarsi a dei consulenti informatici per non commettere passi falsi e comprendere la reale portata delle proprie condotte.

In sintesi: chi utilizza identità altrui per registrare più account non solo rischia reati come la sostituzione di persona o la truffa contrattuale, ma si espone a controlli tecnici e incroci istituzionali sempre più accurati – anche grazie al coordinamento tra operatori privati e infrastrutture pubbliche come SOGEI e ADM – che potrebbero portare Ada vivere indagini su altri reati più gravi e perseguibili d’ufficio. Un sistema così integrato rende il rischio concreto e tutt’altro che remoto.

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Concorso di persone: responsabilità anche per chi presta l’identità (art. 110 c.p.)

Quando amici o parenti cedono documenti, SIM o telefono a chi pratica matched betting con multi account, non rimangono meri spettatori: possono essere coinvolti penalmente in concorso nel reato. È quanto prevede l’art. 110 c.p., che sanziona chiunque – con un apporto materiale o psicologico – facilita la realizzazione del reato da parte di altri, rendendo più agevole o certo l’esito illecito.

Cosa significa responsabilità in concorso?

  • Concorso materiale: chi presti attivamente SIM, documenti o smartphone consapevole del loro utilizzo illecito, fornisce un contributo materiale all’attività delittuosa.
  • Concorso morale: anche forme di supporto più sottili – come fornire documenti senza un contratto, offrire copertura o garantire riserbo – possono integrare un contributo penalmente rilevante, se rafforzano la volontà dell’autore principale .

Conseguenze pratiche?

  • Anche fornire documenti con il mero intento di aiutare l’amico o il parente può bastare per configurare responsabilità.
  • Non è necessario un accordo formale:è sufficiente un’intesa implicita o un comportamento reiterato che renda più agevole l’attività illecita.

Perché è un gesto lontano dall’essere nobile?

Chi presta i propri dati – convinto di fare un favore – può ritrovarsi imputato per concorso in truffa con pene equivalenti a chi ha orchestrato l’intera operazione. Il sistema penale mira a sanzionare proprio queste parti attive o passive ma collaboranti, anche se motivate da fiducia o altruismo.

Conclusioni

In conclusione, il matched betting realizzato tramite multi account intestati a identità altrui presenta rischi penali concreti (anche per parenti e amici!!!): si va dal reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) – configurabile anche con il consenso dell’interessato – alla truffa contrattuale aggravata ai danni dei bookmaker (art. 640 c.p.), fino a possibili ipotesi di autoriciclaggio per la gestione occulta dei profitti illeciti.

L’ulteriore tentativo di mascherare l’attività aprendo una partita IVA “fittizia” come copertura di consulenza può aggravare la situazione, dando evidenza rispetto all’intenzione di “pulire i proventi” facendo potenzialmente emergere reati aggiuntivi e mostrando un livello di preordinazione che inasprisce l’atteggiamento degli inquirenti.

Il messaggio da portare a casa è chiaro: questa pratica, per quanto diffusa e allettante nei guadagni, non è un gioco innocuo ma un percorso minato legalmente. Chi l’ha intrapresa farebbe bene a fermarsi e a valutare alternative legali, mettendosi eventualmente nelle mani di professionisti (commercialisti e avvocati) per regolarizzare ciò che è regolarizzabile e prevenire conseguenze peggiori.

Il matched betting “tradizionale” con i propri account rimane un’attività lecita (e fiscalmente neutra, in quanto le vincite sono tassate alla fonte), ma oltrepassare quel confine usando account multipli e dati di terzi significa entrare nel territorio del penalmente rilevante. La legge italiana punisce severamente questi abusi, come confermato da pronunce giurisprudenziali e dalle normative più recenti in materia di cyber-reati. Pertanto, il nostro consiglio è di non sottovalutare i rischi: meglio rinunciare a facili profitti illegali, piuttosto che affrontare un procedimento penale.

In ogni caso, se vi trovate coinvolti in situazioni del genere, non attendete che sia troppo tardi: attivatevi subito per porvi rimedio e fatevi assistere da un avvocato penalista per tutelare al meglio i vostri diritti e, se possibile, costruire un percorso di uscita dall’illegalità con il minore impatto possibile. Le lacrime amare di chi viene scoperto – come ammonisce chi ha già visto molti casi – non valgono quei pochi soldi guadagnati con l’inganno. Meglio scegliere la via della legalità e dormire sonni tranquilli, piuttosto che rischiare condanne penali per qualche bonus in più.