Diffamazione e risarcimento: quanto puoi chiedere per un’offesa sui social?

La domanda che molti si pongono dopo aver subito diffamazione sui social è: “Quanto posso chiedere di risarcimento?”.

La risposta dipende dalla gravità della diffamazione e dalle sue conseguenze. In questo articolo spieghiamo quando si configura la diffamazione online, come incide sul danno la condotta aggravata dal mezzo utilizzato, quali sono i criteri per determinare il risarcimento secondo le tabelle 2024 del Tribunale di Milano, e come agire concretamente contro l’autore della condotta illecita.

L’obiettivo è aiutarti a capire quanto potresti ottenere come risarcimento

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Quando una critica diventa diffamazione sui social

Non ogni critica o opinione negativa costituisce reato: la diffamazione (art. 595 Codice Penale) si configura quando qualcuno offende la reputazione altrui comunicando l’offesa a più persone, in assenza dell’offeso. In pratica, devono concorrere tre elementi:

1) la persona “bersaglio” (vittima del reato) non è presente, quindi non può difendersi;

2) l’offesa viene comunicata ad almeno due persone;

3) c’è una reale lesione della reputazione della vittima nella società.

Se mancano questi presupposti (ad esempio un’offesa detta in privato solo al diretto interessato), non c’è reato. 

Se hai dubbi sul contenuto che hai ricevuto, scrivimi per capire se si tratta di diffamazione e come puoi reagire!

Sui social network – vedi anche l’articolo “diffamazione su Facebook” – , data la platea potenzialmente ampia, si integra quasi sempre la diffamazione aggravata prevista dall’art. 595 co.3 c.p. (offesa recata “con il mezzo della pubblicità”). Infatti i mezzi di comunicazione online amplificano la diffusione dell’offesa, e la legge prevede in questi casi – non solo pene più severe ma anche – risarcimenti potenzialmente più consistenti. Come vedremo meglio a breve l’ampiezza della diffusione, così come la risonanza mediatica dell’offesa, sono parametri che incidono sulla quantificazione del danno.

La diffamazione “semplice” è punita con la reclusione fino a 1 anno e la multa fino a 1.032€, mentre quella aggravata (es. su Facebook) comporta la reclusione fino a 3 anni e la multa di almeno 516€. Rileva il mezzo usato: un post in bacheca o in un gruppo WhatsApp (molto numeroso) può integrare la fattispecie aggravata prevista dalla norma. 

È bene specificare che la “multa” è una sanzione penale pecuniaria che non coincide con il risarcimento del danno patito dalla vittima. Per ottenere il ristoro del danno è quindi necessario esercitare un’apposita azione civile all’interno del procedimento penale o nella sua sede “naturale” (Giudice di Pace o Tribunale civile).

La scelta del “rito” dipenderà da diversi fattori che andremo ad analizzare nei prossimi punti. Ciò che si vuole per il momento chiarire è che l’offesa alla reputazione costituisce sia un illecito civile che penale e, al fine di ottenere il risarcimento del danno, non è necessario fare accertare il reato.

Il fatto illecito consistente nell’offesa alla reputazione costituisce di per sé ed indipendentemente da un accertamento in sede penale fonte di obbligazione risarcitoria a favore di chi ha subito il danno. Ciò può rilevare qualora si voglia seguire una strada conciliativa (richiesta danni in sede stragiudiziale) anche oltre i termini per proporre denuncia-querela (3 mesi dalla pubblicazione de post diffamatorio).

Hai subito attacchi reputazionali sulla tua pagina social o in un gruppo online? Contattami subito per capire se tali comportamenti costituiscono un illecito risarcibile.

A quanto ammonta il risarcimento per la diffamazione online? 

La domanda cruciale – “Quanto posso ottenere di risarcimento?” – dipende dalla gravità del caso. L’Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ha elaborato (da ultimo nel 2024) dei criteri orientativi con cinque fasce di risarcimento per diffamazione (anche via social).

Queste fasce tengono conto di vari parametri quali: la notorietà del diffamante, la gravità dell’offesa, l’ampiezza della diffusione (es. locale o nazionale), la risonanza mediatica, il numero di episodi diffamatori e il pregiudizio subito dalla vittima a livello personale/professionale.

Di seguito riepiloghiamo le 5 categorie di gravità e l’importo orientativo del risarcimento in ciascuna:

  • Diffamazione di tenue gravità: risarcimento da 1.175€ a 11.750€. Casi di offese lievi con autore diffamante poco notoportata molto limitata (post visto da poche persone) e nessun eco mediatico. La lesione all’onore è minima e magari il responsabile ha anche rimosso il post e chiesto scusa, riducendo la violenza lesiva. 
  • Diffamazione di modesta gravità: risarcimento da 11.750€ a 23.498€. Offese di entità un po’ maggiore ma comunque limitate, con diffamante di notorietà limitatadiffusione modesta del contenuto e risonanza mediatica scarsa o nulla. In genere il post diffamatorio ha avuto un impatto circoscritto, pur essendo offensivo. 
  • Diffamazione di elevata gravità: risarcimento da 35.247€ a 58.745€. Casi molto seri, con offese gravi (es. false accuse di reato), autore con elevata notorietà o seguito ampio, e massima diffusione del contenuto diffamatorio. La diffamazione genera un danno molto pesante per la vittima, sia a livello morale sia nella vita professionale. Spesso sono episodi che hanno avuto risonanza mediatica rilevante (ad es. articoli di giornale, viralità online). 
  • Diffamazione di eccezionale gravità: risarcimento oltre 58.745€. Sono i casi più estremi e distruttivi. Si tratta di diffamazioni con virulenza eccezionale, spesso perpetrate da persone con grandissima notorietà o che hanno avuto una diffusione virale straordinaria. Il danno all’immagine della vittima è gravissimo ed eccezionale, tale da giustificare un risarcimento maggiore rispetto agli standard. Pensiamo, ad esempio, a una campagna diffamatoria massiva contro un personaggio pubblico o contro un professionista il cui nome viene infangato a livello nazionale con conseguenze devastanti sulla carriera. 

 Se la tua reputazione professionale è stata intaccata online, scrivimi qui e insieme valuteremo l’entità del danno e il risarcimento concretamente ottenibile.

Come si vede, l’importo del risarcimento aumenta con la gravità e la diffusione della diffamazione. Queste cifre non sono fisse: il giudice le determina equitativamente caso per caso, ma le tabelle di Milano 2024 servono da riferimento concreto. 

È opportuno qui anticipare che la liquidazione “equitativa” non elimina la necessità della prova del danno ma solo “semplifica” la quantificazione una volta provata la sua esistenza.Ciò significa che la vittima deve sempre fornire elementi concreti da cui desumere il pregiudizio, pur potendo il giudice determinarne l’entità attraverso questi elementi presuntivi.

Non basta quindi, ad esempio, dimostrare che in un commento su Instagram un utente mi ha dato della t***a, ma è necessario identificare e documentare gli elementi che provano la reale diffusione dell’offesa (numero di visualizzazioni, interazioni, condivisioni, durata online, rilanci su altri profili) e gli effetti concreti del danno (pregiudizio psicologico, ripercussioni patrimoniali o professionali, perdita di reputazione), così da consentire al giudice una corretta liquidazione equitativa del risarcimento.

Fattori che incidono sull’ammontare del risarcimento

Dunque, ogni caso di diffamazione ha le sue particolarità ma, come abbiamo poc’anzi visto, ci sono fattori chiave che influenzano l’importo del risarcimento riconosciuto al diffamato. Riepilogando:

  • Notorietà del diffamatore: se chi offende ha un grande seguito (es. un influencer, un personaggio pubblico) o autorevolezza, le sue parole hanno più peso e l’offesa causa maggior danno. Viceversa, un soggetto poco conosciuto o con pochi follower può arrecare un danno più contenuto.
  • Ampiezza della diffusione: un post pubblicato su Facebook e condiviso migliaia di volte, o un tweet virale, avrà un impatto ben maggiore di un commento letto da 10 persone. Più vasta è la platea che ha visto l’offesa, maggiore il potenziale danno all’onore.
  • Risonanza mediatica: se la diffamazione viene ripresa da blog, testate giornalistiche o diventa oggetto di discussione pubblica, si amplifica il pregiudizio. Un’offesa rimasta confinata in ambito privato ha effetti limitati, mentre una vicenda finita sui giornali può ledere gravemente la reputazione.
  • Numero e continuità degli episodi: un singolo post denigratorio è diverso da una campagna diffamatoria con più post/commenti ripetuti nel tempo. Offese reiterate indicano un accanimento e incrementano il danno (ogni nuovo episodio può essere valutato come aggravante e può far aumentare il risarcimento totale).
  • Gravità del contenuto offensivo: contano i termini e le accuse usate. Dare dell’“incapace” a qualcuno sul lavoro è grave, ma accusarlo falsamente di un reato è molto più grave e comporta risarcimenti ben maggiori. Offese a sfondo razziale o sessista, o lesive della professione della vittima, sono valutate con severità.
  • Danno concreto alla vittima: bisogna considerare gli effetti subiti. Ad esempio, la vittima ha avuto ripercussioni lavorative (perdita di clienti, sospensione dall’incarico)? Ha sofferto stress, ansia o depressione a causa della gogna mediatica? Questi elementi possono essere documentati (anche tramite testimonianze o certificati) e portare il giudice a riconoscere un risarcimento maggiore.
  • Condotta post-offesa del diffamatore: se l’autore, una volta contestato, rimuove subito il post e porge le sue scuse pubbliche, il danno potrebbe essere minore. Al contrario, se il contenuto offensivo resta online a lungo o il diffamatore persiste nel negare o rilanciare le accuse, l’entità del risarcimento potrebbe essere maggiore.

Tutti questi aspetti pesano nella determinazione dell’indennizzo dovuto. Un avvocato esperto saprà evidenziarli al meglio in sede giudiziale per massimizzare la tutela della tua reputazione. Ovviamente il processo non è l’unica freccia nell’arco della vittima di un reato. Se il ristoro del danno è la priorità (perché la condotta è cessata, l’autore del reato ha ammesso le proprie colpe, etc) un’azione stragiudiziale correttamente impostata potrebbe essere sufficiente e risolutiva .

Scrivimi per una consulenza: valuteremo insieme tutti i fattori del tuo caso e ti indicherò quanto puoi realisticamente chiedere come risarcimento.

Come e quando richiedere il risarcimento per diffamazione

Vediamo ora cosa fare in concreto se sei vittima di diffamazione online e vuoi ottenere giustizia. È anzitutto fondamentale muoversi per tempo e nella maniera corretta, sia sul piano penale (denunciando il reato) sia su quello civile (richiedendo i danni). Ecco alcune indicazioni pratiche:

Presenta denuncia-querela (azione penale)

La diffamazione è un reato perseguibile a querela di parte: ciò significa che devi sporgere querela entro 3 mesi dall’offesa (o da quando ne sei venuto a conoscenza). La querela va presentata presso le autorità (Polizia, Carabinieri o Procura) descrivendo dettagliatamente i fatti e allegando le prove disponibili. L’azione penale mira a far condannare il colpevole (es. con la multa e/o la reclusione) e può affiancarsi alla richiesta di risarcimento. 

Non aspettare: contattami subito se vuoi sporgere querela per diffamazione, ti aiuterò a prepararla correttamente.

Raccogli e conserva le prove digitali

Agisci tempestivamente per salvare screenshot, link, post e commenti offensivi prima che vengano cancellati. Le prove digitali (meglio se autenticate con data) sono essenziali sia in sede penale che civile. Se il contenuto è già stato rimosso, cerca testimoni che confermino cosa hanno visto online. Puoi anche rivolgerti a un tecnico per cristallizzare ufficialmente il materiale web. 

Ogni minuto conta: scrivimi e ti guiderò su come raccogliere prove valide per difenderti efficacemente.

Esamina il corretto percorso

Hai due strade per ottenere i dannicostituirti parte civile nel processo penale oppure avviare una causa civile separata. Nel primo caso, una volta avviato il procedimento penale (dopo la querela e il rinvio a giudizio), potrai chiedere al giudice penale di liquidare anche il risarcimento del danno. Questo evita un secondo giudizio, ma può essere subordinato ai tempi e all’esito del procedimento penale. In alternativa, puoi agire direttamente in sede civile con una causa ad hoc, senza attendere l’esito delle indagini e del processo penale e, quindi, anche se il fatto non è perseguito penalmente. Come anticipato l’azione civile può infatti essere intrapresa anche se il procedimento penale viene archiviato o si conclude senza condanne. La scelta dipende dal caso concreto: un avvocato saprà consigliarti se conviene “agganciarsi” al procedimento penale (risparmiando tempo e costi) o procedere in autonoma sede civile. 

Hai dubbi sulla strada migliore per te? Contattami, insieme decideremo la strategia più efficace per farti ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Rispetta i termini, non solo quelli prescrizionali (Sic!)

Per la richiesta civile di risarcimento danni, il termine prescrizionale è stabilito in 5 anni dal fatto diffamatorio. La diffamazione sui social di solito è considerata un illecito istantaneo, quindi questi 5 anni decorrono dalla data di pubblicazione del post/commento offensivo. In casi particolari, ad esempio se la vittima non poteva venirne a conoscenza subito, la decorrenza può posticiparsi, ma sono situazioni eccezionali.

Attenzione! La prescrizione civile del diritto a chiedere il risarcimento nel caso di diffamazione è quindi considerevole atteso che, normalmente, la vittima non aspetta 5 anni per ottenere giustizia. Questo non deve tuttavia far pensare che ci sia sempre tempo per agire. La raccolta delle prove finalizzate a dimostrare il danno richiede al contrario tempestività e competenza.

Agire subito è cruciale: se si raccolgono correttamente le prove (acquisizioni con tecniche di digital forensics, dati di visualizzazione, testimonianze) e non si lascia trascorrere tempo prezioso – soprattutto per la proposizione della querela – è possibile ottenere risultati concreti già in via stragiudiziale. Dimostrare al diffamatore che le prove del danno sono state preservate e che vi è ancora piena possibilità di procedere penalmente aumenta notevolmente le probabilità di raggiungere un accordo rapido e favorevole, evitando un lungo e oneroso contenzioso giudiziale.

In sintesi, appena subisci una diffamazione online devi:

  1. attivarti subito per raccogliere prove
  2. valutare velocemente se presentare querela (3 mesi)
  3. inviare immediatamente una richiesta danni opportunamente documentata.  

Muoversi tempestivamente e con un’assistenza legale esperta può fare la differenza nell’ottenere giustizia. Scrivimi per ottenere una consulenza

Valuta l’azione stragiudiziale e l’importanza di dimostrare il danno anche se richiesto in via “equitativa”

In molti casi di diffamazione online è consigliabile tentare una risoluzione stragiudiziale, evitando di arrivare in giudizio. Questa strategia prevede l’invio di una diffida formale, redatta da un avvocato, nella quale si contestano gli atti diffamatori, si allegano le prove del danno, si richiede la rimozione immediata dei contenuti lesivi e si formula una richiesta di risarcimento. Far comprendere al diffamatore che la vittima dispone di documentazione probatoria solida e che i termini per procedere penalmente e civilmente sono ancora “aperti” può facilitare una trattativa rapida e un accordo vantaggioso, evitando i tempi e i costi di un processo.

Perché fornire subito le prove del danno è importante?

Come anticipato la liquidazione equitativa del danno per diffamazione, non esonera la parte che agisce dal fornire la prova dell’entità dello stesso. La giurisprudenza della Corte di Cassazione è costante nel ritenere che:

  1. Onere della prova – Chi chiede il risarcimento deve dimostrare:
  • L’illecito (condotta diffamatoria);
  • Il nesso di causalità tra la diffamazione e il pregiudizio;
  • L’esistenza del danno (anche solo in via presuntiva).

2. Liquidazione equitativa – È uno strumento utilizzato dal giudice:

  • Quando non è possibile determinare con precisione l’ammontare del danno (quantum);
  • Ciò non sostituisce la prova dell’an debeatur (esistenza del danno), che deve comunque essere fornita.

3. Presunzioni e danno all’immagine – La prova può essere indiretta o presuntiva:

  • La diffamazione, soprattutto se effettuata tramite i Social Network, può far presumere l’esistenza di un danno non patrimoniale alla reputazione, consentendo al giudice di ricorrere alla liquidazione equitativa (art. 1226 c.c.);
  • Tuttavia, non si tratta di un “danno in re ipsa”: la vittima deve allegare e provare almeno fatti sintomatici del pregiudizio (es. perdita di clientela, sofferenza morale, necessità di difese legali).

In sintesi:

  1. l’azione stragiudiziale, sostenuta da una raccolta accurata e tempestiva delle prove, può portare a un risarcimento senza necessità di giudizio, infatti..
  2. anche se il danno potrà essere liquidato equitativamente dal giudice, è indispensabile fornire elementi concreti della sua esistenza per rendere la pretesa credibile e giuridicamente fondata. Quindi…
  3. Se l’avvocato del diffamante dovesse ricevere mandato per valutare una richiesta danni che risulta incompleta, non accurata e potenzialmente non “azionabile” in sede giudiziale, potrebbe tendere a sfavorire una risoluzione stragiudiziale o proporre una liquidazione irrisoria.

Non intentare una causa senza prove: Può determinare il rigetto della domanda e la condanna alle spese

Un esempio significativo è la sentenza del Tribunale di Crotone (2022): un uomo aveva chiesto il risarcimento dei danni per frasi diffamatorie pronunciate in una diretta Facebook. Il giudice ha rigettato la domanda perché l’attore non aveva fornito alcuna prova concreta della diffusione del contenuto (nessun tag, like o altre interazioni) né elementi oggettivi per dimostrare come la sua reputazione o la sua vita personale e lavorativa fossero state compromesse.

Il tribunale ha ribadito che il danno da diffamazione non è mai “in re ipsa”: anche in presenza di un fatto potenzialmente diffamatorio, serve dimostrare il danno-conseguenza e la sua entità. Non basta chiedere una liquidazione equitativa senza allegare elementi che rendano evidente il pregiudizio.

Esito: domanda rigettata e attore condannato a rifondere alla controparte 3.972 € di spese legali.

Sono a tua disposizione: contattami per pianificare subito le azioni da intraprendere nel tuo caso specifico.

Esempi concreti: quando e quanto hanno risarcito in alcune sentenze

Per rendere più concreto quanto sopra descritto, vediamo alcuni esempi reali di come la giurisprudenza ha affrontato casi di diffamazione sui social e, per alcune fattispecie, i risarcimenti concessi:

  • Caso “Facebook e insulti ai vigili urbani” (Tribunale di Vicenza, sentenza 15 ottobre 2020, n. 1673): un utente aveva pubblicato su Facebook un post gravemente diffamatorio contro due agenti di polizia locale, con offese pesanti e augurando la morte ai loro familiari. Si trattava chiaramente di diffamazione aggravata su social (offesa a pubblico ufficiale con ampia diffusione). Il tribunale l’ha condannato a pagare 15.000 € di risarcimento del danno morale, oltre alle spese legali. Questo importo rientra nella fascia di media-elevata gravità, proporzionato alla gravità estrema delle offese e alla notevole diffusione del post.
  • Caso “Malato di mente su Facebook” (Tribunale di Avellino, 2017) – Un utente aveva pubblicato sulla bacheca di un’altra persona un messaggio offensivo, definendola “malata di mente” e diffondendo l’idea che l’intera comunità la considerasse tale. Il Tribunale ha ritenuto le espressioni gravemente lesive dell’onore e della reputazione, aggravate dalla pubblicazione su un social network con ampia visibilità. Il danno morale è stato liquidato equitativamente in 10.000 €, considerando la natura discriminatoria delle parole e il contesto di ampia diffusione del messaggio.
  • Caso “Medico accusato ingiustamente” (Corte d’Appello di Milano, 2025) – Un microbiologo era stato falsamente associato, su Facebook, a un gruppo di chirurghi coinvolti in un’inchiesta sulle protesi difettose, con tanto di foto pubblicata senza consenso. Nonostante il primo grado avesse rigettato la domanda, la Corte d’Appello ha riconosciuto la falsità delle accuse e la loro potenzialità lesiva, aggravata dall’ampia visibilità (oltre 700 follower e numerose interazioni). Il danno è stato valutato in 40.000 €, somma proporzionata alla gravità dell’accusa, alla diffusione e all’impatto sulla credibilità professionale del medico.
  • Caso “Articoli denigratori contro osservatorio e presidente” (Tribunale di Firenze, 2023) – Una serie di articoli su quotidiani e siti web aveva insinuato che il presidente di un osservatorio e il suo progetto contro le fake news fossero ingannevoli, dipingendolo come un truffatore e ridicolizzandone la carriera. Il Tribunale ha riconosciuto un’azione diffamatoria concertata e particolarmente invasiva, che aveva colpito sia la reputazione personale del presidente sia l’immagine dell’ente. La gravità delle insinuazioni, la loro reiterazione su più canali e l’enorme risonanza mediatica hanno portato a un risarcimento complessivo di 600.000 € (300.000 € ciascuno), oltre all’obbligo di pubblicare la sentenza di condanna.
  • Caso Diffamazione senza nome esplicito” (Cassazione penale n. 2598/2021): la Corte di Cassazione ha stabilito che anche senza nominare direttamente la vittima, un post può costituire diffamazione se dal contesto la persona offesa è identificabile da un gruppo di lettori. Nel caso esaminato, l’autore aveva alluso a una persona con riferimenti chiari (circostanze, dettagli personali: “nana” e “spazzina”) pur senza farne il nome. La Cassazione ha confermato la condanna, a riprova che non basta omettere il nome per sfuggire alla responsabilità: conta l’effetto che le parole hanno sulla reputazione altrui. In termini di risarcimento la Suprema Corte non si è espressa ma ha chiarito che un’offesa rivolta in modo allusivo ma riconoscibile integra l’illecito e dà diritto al risarcimento dei danni che possono variare in base alla lesione concretamente subita.
    • ALTRI CASI :
  • Non solo l’autore del post originale, ma anche chi commenta con frasi diffamatorie sotto quel post può essere imputato per diffamazione aggravata. Allo stesso modo, condividere un post offensivo manifestando approvazione (es. aggiungendo emoticon a supporto) può renderci responsabili della diffamazione sui social.
  • Persino pubblicare l’offesa su un profilo “privato” non esclude il reato: basta una piccola cerchia di contatti, se l’offesa è evidente, per integrare la comunicazione con più persone. Va da sé che, in queste ipotesi il risarcimento sarà verosimilmente minore ed ipoteticamente inquadrabile nella fascia più bassa ricompresa tra 1.175€ a 11.750€
  • In linea con i criteri visti offese “minori” sui social (frasi come “cagna!” ad un post di una micro-influencer ritratta in abiti succinti), non aggravate da altre elementi (letto da pochi utenti e subito cancellato) hanno portato a risarcimenti contenuti, nell’ordine di 600€, tuttavia concertati in via stragiudiziale.

In conclusione, se sei vittima di diffamazione sui social, non lasciare che l’offesa passi impunita. Hai il diritto di proteggere il tuo nome e di ottenere un equo risarcimento per il danno che hai subìto.

La legge è dalla tua parte, ma devi agire con decisione e nei tempi giusti. Non aspettare oltre: contattami oggi stesso per una consulenza riservata. Insieme valuteremo la gravità della diffamazione, l’ammontare del danno e avvieremo tutte le azioni legali necessarie per difendere la tua reputazione.