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Introduzione al diritto all’oblio e base normativa
Nel mondo digitale, ogni informazione pubblicata online può rimanere accessibile a tempo indefinito, incidendo sulla reputazione e la privacy delle persone. Il diritto all’oblio è il diritto a non restare esposti per sempre a vecchie informazioni sul proprio conto, specialmente se queste sono obsolete o fuori contesto. In altre parole, consente a individui (cittadini privati e professionisti) di richiedere che determinati risultati associati al proprio nome vengano deindicizzati dai motori di ricerca come Google, affinché quelle pagine web non compaiano più nelle ricerche del pubblico.
Questo diritto trova fondamento normativo nell’Articolo 17 del GDPR (Regolamento UE 2016/679), che prevede il “diritto alla cancellazione” dei dati personali in determinate circostanze, e nelle corrispondenti norme italiane (il Codice Privacy, D.lgs. 196/2003, adeguato al GDPR). La sua origine giuridica risale a una storica sentenza della Corte di Giustizia UE del 2014 (caso Google Spain), che per prima ha riconosciuto agli individui il diritto di chiedere ai motori di ricerca la rimozione di risultati legati al proprio nome. In quella decisione, si stabilì che i motori di ricerca devono valutare se le informazioni sono “inesatte, inadeguate, irrilevanti o eccessive” e se persiste un interesse pubblico a renderle facilmente disponibili.
In Italia, il diritto all’oblio è considerato parte del diritto alla privacy e alla dignità personale, tutelato dalla Costituzione (art. 2) e dalle leggi in materia di protezione dei dati. GDPR e Codice Privacy offrono la base legale: un interessato può chiedere la cancellazione o deindicizzazione di dati personali che non sono (più) necessari o pertinenti rispetto alle finalità della loro pubblicazione. Va chiarito che deindicizzare una pagina da Google non significa cancellarla dal web: l’informazione rimane disponibile sul sito originale (ad esempio nell’archivio di un giornale), ma non sarà più facilmente reperibile cercando il nome della persona su un motore di ricerca. Si tratta dunque di un bilanciamento tra il diritto dell’individuo alla riservatezza/reputazione e il diritto della collettività di essere informata.
Di seguito analizziamo quando si può esercitare il diritto all’oblio, come procedere praticamente per la deindicizzazione (in particolare su Google), i riferimenti giurisprudenziali rilevanti in Italia, esempi concreti di casi accolti o respinti e gli strumenti alternativi disponibili, senza dimenticare le considerazioni etiche e i limiti di questo diritto in rapporto al diritto di cronaca e all’interesse pubblico.
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Quando si può chiedere la deindicizzazione (diritto all’oblio)
Non ogni informazione negativa o indesiderata può essere rimossa: il diritto all’oblio si applica in casi specifici, valutati attentamente. In generale, è possibile richiedere la deindicizzazione di risultati di ricerca riguardanti la propria persona quando questi contengono dati non più rilevanti, inaccurati o lesivi dei propri diritti. Vediamo nel dettaglio le principali ipotesi in cui è lecito far valere questo diritto:
Informazioni obsolete o non più attuali
Una delle situazioni tipiche è quella delle notizie datate, che si riferiscono a eventi del passato ormai superati. Informazioni un tempo di pubblico interesse possono, col trascorrere degli anni, perdere attualità e diventare obsolete o fuorvianti rispetto alla situazione attuale della persona. Ad esempio, un articolo di cronaca su un fatto accaduto molti anni fa – come una vecchia vicenda professionale o personale – potrebbe non rispecchiare più la realtà odierna e il profilo attuale dell’individuo interessato. Continuare a essere costantemente associati online a quella “biografia telematica” passata può risultare ingiusto e pregiudizievole. In questi casi, se non vi è più un interesse pubblico concreto verso quella notizia, si può chiedere ai motori di ricerca di rimuovere il risultato relativo.
Ad esempio, la Cassazione ha ritenuto legittimo deindicizzare un articolo di cronaca giudiziaria ormai “costituente oggetto di notizie ormai superate”, per evitare che una persona non famosa resti indefinitamente collegata a fatti non più attuali che ne danneggiano la reputazione. È importante sottolineare che non esiste un periodo temporale fisso oltre il quale una notizia diventa automaticamente deindicizzabile – spesso si fa riferimento orientativo a un paio d’anni per le notizie di cronaca minore – ma molto dipende dal contesto e dall’evoluzione della vicenda. Il diritto all’oblio infatti non scatta in automatico dopo un certo tempo: va sempre valutato caso per caso in base alla perdita di attualità e all’assenza di interesse pubblico concreto.
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Informazioni inesatte o diffamatorie
Un’altra ipotesi rilevante è quella delle informazioni false, inesatte o ingannevoli riguardanti la persona. Se nei risultati di ricerca compare una pagina web che riporta dati personali errati, accuse infondate o contenuti potenzialmente diffamatori, l’interessato ha diritto di richiederne la rimozione. La presenza online di dati non veritieri può arrecare un grave pregiudizio alla reputazione; per questo sia il GDPR che la giurisprudenza tutelano il diritto dell’individuo a non essere associato a informazioni inaccurate.
In tali casi, la deindicizzazione funge da rimedio per impedire che notizie false o non aggiornate continuino a circolare ai primi posti delle ricerche sul proprio nome. Google stesso specifica che, non avendo il ruolo di un tribunale, non può determinare autonomamente la veridicità di accuse o informazioni, ma terrà conto di eventuali prove fornite dall’utente: ad esempio, se una sentenza giudiziaria ha stabilito che certe affermazioni sul conto della persona erano infondate, ciò costituirà un elemento decisivo per la rimozione.
In pratica, chi chiede l’oblio per contenuti diffamatori dovrà idealmente fornire documentazione (come provvedimenti giudiziari di rettifica, assoluzione, smentite ufficiali) che dimostri il carattere inesatto o calunnioso di quelle informazioni.
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Notizie su reati estinti, procedimenti archiviati o assoluzioni
Un capitolo delicato del diritto all’oblio riguarda le notizie di cronaca giudiziaria, ossia articoli e pagine web che riportano indagini, arresti, processi o condanne penali a carico di una persona.
Qui il diritto all’oblio si intreccia col diritto di cronaca e con il principio della presunzione d’innocenza. In generale, se una persona è stata coinvolta in un procedimento penale che si è poi concluso senza colpevolezza (ad esempio con l’archiviazione delle indagini, un proscioglimento o un’assoluzione in giudizio), le notizie online relative alla fase iniziale (quando magari era indagata o imputata) possono risultare fuorvianti e dannose se continuano a emergere nelle ricerche sul suo nome.
Pensiamo al caso – frequente – di articoli che titolavano su un arresto clamoroso, ma che poi non vengono aggiornati quando quella persona viene dichiarata innocente: in tali situazioni si può chiedere la deindicizzazione, perché l’informazione è incompleta e supera il limite temporale ragionevole di interesse pubblico, soprattutto una volta che la giustizia ha fatto il suo corso.
Come indicato dalle linee guida, una notizia su un “imminente processo penale” diventa rapidamente obsoleta se il processo si conclude senza condanna o con l’annullamento della condanna in appello. Analogamente, articoli che riferiscono di accuse poi archiviate o cadute dovrebbero essere resi meno visibili per non perpetuare un pregiudizio.
Anche nel caso di condanne penali effettivamente subite, entra in gioco il diritto all’oblio dopo che la pena è stata scontata e il reato risulta estinto o lontano nel tempo.
Il nostro ordinamento prevede strumenti di riabilitazione e di estinzione del reato dopo un certo periodo, proprio per favorire il reinserimento sociale del condannato. Coerentemente, il Garante Privacy e i tribunali tendono a riconoscere che, trascorso un congruo lasso di tempo e soddisfatte le condizioni di legge (ad es. fine pena, buona condotta, riabilitazione), una persona ha diritto a non essere per sempre marchiata online dal proprio reato, specialmente se parliamo di vicende minori o remote.
Prima di rimuovere informazioni su condanne, si considera però anche la gravità e la rilevanza pubblica del crimine: per reati molto gravi o fatti storici di grande interesse, l’interesse del pubblico a conoscere può rimanere prevalente.
In linea di principio comunque, Google afferma di tenere conto delle normative locali sulla cancellazione dei precedenti penali e su quando un condannato possa “lasciarsi il reato alle spalle” ufficialmente. Ciò significa che, se secondo la legge italiana un certo reato non deve più comparire nei carichi pendenti o è stato dichiarato estinto, questo elemento giocherà a favore della deindicizzazione delle notizie relative.
Ad esempio, in un caso recente il Garante Privacy ha accolto il reclamo di una donna condannata anni prima, che aveva già scontato la pena, ordinando la deindicizzazione degli articoli sul suo caso poiché “non sussistono ragioni di interesse pubblico che giustifichino una perdurante reperibilità dell’articolo” a suo nome. L’articolo, relativo a una condanna del 2009 ormai conclusa, doveva restare accessibile solo nell’archivio del quotidiano, ma non più tra i risultati di Google, proprio per tutelare il percorso di riabilitazione personale della donna.
Questo esempio illustra bene il bilanciamento tra il diritto alla riabilitazione individuale e l’interesse della società a conservare una memoria storica degli eventi (interesse quest’ultimo soddisfatto lasciando l’articolo nell’archivio, però non immediatamente rintracciabile via motore di ricerca).
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Dati personali sensibili e altre situazioni particolari
Oltre ai casi sopra elencati, esistono ulteriori circostanze in cui si può invocare il diritto all’oblio, spesso legate alla natura particolarmente privata o delicata delle informazioni coinvolte.
Ad esempio, se tra i risultati di ricerca compaiono dati personali sensibili – come dettagli sulla salute, sull’orientamento sessuale, sulle convinzioni religiose o sull’origine etnica di una persona – divulgati senza adeguato motivo o consenso, la richiesta di deindicizzazione avrà buone probabilità di successo. Si tratta di informazioni intime la cui pubblicazione online può costituire una grave violazione della riservatezza; infatti Google dichiara di essere molto più propenso a rimuovere contenuti che contengono dati sensibili, specie se l’interessato non ne aveva autorizzato la diffusione.
Un esempio può essere il caso di notizie che rivelino lo stato di salute di qualcuno o la sua appartenenza a categorie protette: tali elementi, se non giustificati da un interesse pubblico preminente, dovrebbero essere eliminati dalle ricerche per proteggere la dignità della persona.
Un’altra situazione peculiare riguarda le informazioni personali pubblicate direttamente dall’individuo in passato (ad esempio sui social network, su blog personali, forum, ecc.) di cui poi ci si pente o che diventano fonte di imbarazzo.
In molti casi, la prima linea d’azione è rimuovere o rendere private quelle informazioni alla fonte – ad esempio cancellando il post o restringendo le impostazioni di privacy sul social network – così che non siano più indicizzabili da Google.
Tuttavia, se contenuti ormai rimossi continuano ad apparire nella cache o negli snippet del motore di ricerca, o se siti terzi hanno ripubblicato quelle informazioni, potrebbe rendersi utile una richiesta di deindicizzazione. Pensiamo a foto personali o notizie di cronaca rosa che coinvolgevano la sfera privata: col tempo l’interessato può legittimamente chiedere che non siano più tra i primi risultati cercando il suo nome.
Da ricordare anche il caso di minori o vittime di reati: le informazioni che li riguardano godono di tutele particolari. La pubblicazione dell’identità di un minore coinvolto in fatti di cronaca è generalmente vietata; se ciò accade, l’intervento per rimuovere quei dati dai risultati di ricerca è praticamente doveroso. Allo stesso modo, una vittima di reato che si ritrovi esposta online può chiedere con forza maggiore la rimozione di contenuti lesivi.
In sintesi, ogni volta che un risultato di ricerca associato al nome di una persona appare ingiusto, sproporzionato o irrilevante rispetto alla vita attuale di quella persona, si configura una potenziale applicazione del diritto all’oblio. Resta comunque fondamentale dimostrare (o almeno argomentare chiaramente) perché quel contenuto dovrebbe essere “dimenticato” dal motore di ricerca, tenendo conto dei contrapposti diritti in gioco.
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Giurisprudenza italiana e pronunce del Garante Privacy
Il quadro giurisprudenziale in materia di diritto all’oblio si è andato definendo attraverso importanti decisioni sia a livello europeo che italiano, oltre agli interventi dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali. Tali pronunce hanno delineato i criteri di applicazione dell’oblio e i limiti imposti dal diritto di cronaca.
In ambito europeo, la già citata sentenza Google Spain (Corte di Giustizia UE, 2014) ha inaugurato la tutela, stabilendo che un motore di ricerca è un titolare del trattamento dei dati e come tale deve considerare le richieste di cancellazione dei risultati contenenti dati personali. La Corte in quel caso diede ragione a un cittadino spagnolo che chiedeva di rimuovere dai risultati Google un vecchio annuncio di asta immobiliare legato a un suo debito ormai saldato: la notizia, risalente a molti anni prima, era ritenuta non più rilevante e lesiva della sua reputazione presente. Da allora, i motori di ricerca hanno implementato procedure dedicate per queste richieste in tutta Europa.
La giurisprudenza italiana ha pienamente recepito questi principi, arricchendoli con ulteriori precisazioni. La Corte di Cassazione, in varie sentenze negli ultimi anni, ha definito il diritto all’oblio come il diritto a non rimanere esposti senza limiti di tempo a una rappresentazione non più attuale della propria persona, quando ciò arreca pregiudizio alla reputazione e riservatezza.
Tuttavia, la Cassazione ha sempre evidenziato che questo diritto non è assoluto: va bilanciato caso per caso con l’interesse pubblico alla conoscenza dei fatti e con il diritto di cronaca, specie se le notizie hanno una valenza storico-sociale o documentaristica tale da giustificarne la permanenza accessibile.
Ad esempio, la Suprema Corte ha ritenuto lecita la permanenza nell’archivio online di un quotidiano di articoli di cronaca risalenti nel tempo (come vicende giudiziarie poi concluse con assoluzione), a condizione che – su richiesta dell’interessato – tali articoli fossero deindicizzati sui motori di ricerca e integrati da un aggiornamento sull’esito finale del procedimento. Questo approccio “solomonicamente” distingue tra l’archiviazione storica (che tutela la memoria collettiva e non viene censurata) e l’indicizzazione nei motori di ricerca (che invece può essere limitata per proteggere la persona dall’eccessiva esposizione mediatica di fatti passati).
Un’importante pronuncia recente è l’ordinanza n. 3952/2022 della Cassazione, che ha ribadito la necessità di ponderare il diritto all’oblio con il diritto di informazione “in relazione alla funzione sociale” di quest’ultimo. In tal senso, la Cassazione e la CGUE concordano sul fatto che il diritto alla protezione dei dati non prevale automaticamente sulla libertà di espressione: l’art. 17 GDPR stesso esclude il diritto alla cancellazione quando il trattamento dei dati è necessario per esercitare il diritto di cronaca o altri diritti fondamentali. Insomma, se una notizia è ancora di interesse pubblico (ad esempio riguarda un personaggio pubblico o un fatto di attualità rilevante), difficilmente potrà essere “dimenticata” dai motori di ricerca.
Dal lato dell’Autorità Garante Privacy, numerosi provvedimenti hanno fatto da arbitro nei casi in cui gli interessati, insoddisfatti della risposta dei motori di ricerca, si sono rivolti al Garante. L’orientamento del Garante è in linea con quello dei giudici: proteggere la privacy individuale senza cancellare indebitamente informazioni di pubblico interesse.
In un provvedimento del dicembre 2023, ad esempio, il Garante ha respinto la richiesta di una donna che voleva cancellare del tutto dagli archivi online alcuni articoli su una sua vecchia condanna, ma ha disposto che fossero deindicizzati da Google. Il Garante ha motivato che “a tutela della libertà di informazione, gli articoli web non vanno cancellati dall’archivio online di un quotidiano, ma solo deindicizzati”, riconoscendo da un lato il valore storico-documentale dell’archivio giornalistico, e dall’altro l’assenza di un interesse pubblico attuale a trovare quei articoli tramite una semplice ricerca del nome della donna.
In un altro caso analogo del 2021, l’Autorità aveva già affermato che un articolo di cronaca, anche se legittimamente pubblicato anni addietro, “conserva il suo valore di documento storico” e pertanto deve rimanere disponibile integralmente nell’archivio del giornale (accessibile a chi voglia svolgere ricerche storiche mirate), ma può essere opportunamente escluso dagli indici generali dei motori di ricerca per non ledere il diritto all’oblio dell’interessato.
Significativi sono anche i casi in cui il Garante ha negato il diritto all’oblio, confermando che l’interesse pubblico prevaleva. Ad esempio, con un provvedimento del 2016, il Garante ha dato ragione a Google nel negare la deindicizzazione richiesta da un ex terrorista coinvolto negli “Anni di piombo”: i fatti raccontati in quegli articoli riguardavano crimini di particolare gravità per cui l’uomo era stato condannato e che costituivano “una delle pagine più buie della storia italiana” – informazioni divenute parte della memoria collettiva.
In quel caso, l’Autorità ha ritenuto prevalente l’interesse del pubblico ad accedere alle notizie storiche in questione, dichiarando infondata la richiesta di rimozione degli URL dai risultati di ricerca. Analogamente, più di recente è stato riportato che il Garante ha giudicato infondata la richiesta di un ex amministratore locale condannato per corruzione, ritenendo che “prevale l’interesse pubblico a conoscere le notizie” relative a quell’illecito, data la natura pubblica del personaggio e la rilevanza della vicenda.
Questi esempi evidenziano come il diritto all’oblio trovi un limite naturale nei casi di cronaca giudiziaria di grande importanza, specie se concernono figure pubbliche o fatti la cui conoscenza resta utile alla collettività.
In sintesi, la giurisprudenza e le pronunce dell’Autorità Privacy convergono su un punto chiave: il diritto all’oblio va sempre contemperato con il diritto di cronaca e l’interesse pubblico. Il risultato di questo bilanciamento può variare: si va dalla deindicizzazione di contenuti ormai obsoleti e privi di interesse attuale, fino al diniego della rimozione quando le notizie riguardano temi e persone di perdurante rilievo pubblico. L’obiettivo è evitare sia la “tirannia dell’eterno digitale” sulla vita delle persone comuni, sia un improprio revisionismo online che cancelli la storia recente.
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Come richiedere la deindicizzazione a Google (procedura pratica)
Passiamo ora agli aspetti pratici: come può un cittadino esercitare il diritto all’oblio e chiedere la deindicizzazione di risultati di ricerca su Google (o altri motori)? Fortunatamente, Google mette a disposizione un modulo online dedicato per questo tipo di richieste, e la procedura è abbastanza chiara. Ecco i passaggi principali per richiedere la rimozione di contenuti personali dai risultati di ricerca Google:
- Raccolta degli URL pertinenti: Prima di tutto, identificate con precisione i link (URL) delle pagine web che contengono le informazioni che volete far rimuovere dai risultati di ricerca. È importante copiare l’indirizzo esatto della pagina incriminata. Ad esempio, se un certo articolo di giornale riporta il vostro nome in modo lesivo, copiate l’URL di quell’articolo. Potete elencare più URL nella stessa richiesta, purché riguardino tutti lo stesso nome/persona.
- Accesso al modulo di Google: Andate sulla pagina di Google dedicata alle richieste di rimozione per motivi di protezione dati (diritto all’oblio). Il link al modulo ufficiale è disponibile nelle Guida di Google sulla privacy. Il modulo è in italiano e vi guiderà passo passo nelle informazioni da fornire.
- Compilazione dei dati richiesti: Nel modulo, dovrete inserire:
- I vostri dati personali (nome, cognome, paese di residenza, indirizzo email di contatto). Se fate la richiesta per conto di terzi (es. cliente, familiare), dovrete attestare di essere legalmente autorizzati.
- Gli URL specifici dei risultati da deindicizzare (come detto al punto 1).
- La query di ricerca, cioè normalmente il vostro nome (o la persona che rappresentate) così come appare nei risultati. È fondamentale indicare il nome esatto o eventuali varianti (ad esempio includendo un soprannome o il cognome da nubile, se con quello compaiono i risultati).
- Una spiegazione/descrizione motivata del perché chiedete la rimozione. In questo campo descrivete come quei risultati sono collegati a voi e per quale motivo dovrebbero essere rimossi ai sensi della normativa. Ad esempio potete spiegare che la pagina contiene informazioni obsolete, inaccurate o che violano la vostra privacy, dettagliando il più possibile (eventi accaduti, date, esiti successivi, ecc.).
- Documento di identità: Google richiede di allegare una copia digitale valida di un documento (carta d’identità, passaporto, patente) per verificare l’identità del richiedente. Questo per evitare abusi (chiunque potrebbe altrimenti chiedere la rimozione di contenuti altrui). Assicuratevi che i dati essenziali siano leggibili.
- Confermate di non agire con falso nome e firmate elettronicamente la richiesta.
- Invio della richiesta e attesa: Una volta compilato tutto, inviate il modulo. Google vi manderà una email di conferma di ricezione. A questo punto la vostra richiesta sarà esaminata dal team Google dedicato. Non esiste un tempo standard garantito per la risposta: spesso arriva nell’arco di qualche settimana, ma può variare in base alla complessità del caso e al volume di richieste. In alcuni casi Google potrebbe chiedervi maggiori informazioni per poter valutare (ad esempio ulteriore documentazione a supporto delle vostre motivazioni). Controllate quindi la casella email fornita.
- Valutazione da parte di Google: I revisori esamineranno la richiesta bilanciando il vostro diritto alla privacy con il diritto del pubblico a trovare quelle informazioni. Come visto, considereranno vari fattori: se siete un personaggio pubblico o privato, se la notizia è ancora attuale, la fonte e la natura dell’informazione, l’eventuale sensibilità dei dati, ecc. (vedi sezione precedente). Ad esempio, se siete una persona comune e la pagina tratta di un fatto personale vecchio e ormai irrilevante, è probabile che la rimozione venga concessa; viceversa per un politico di rilievo che chiede di rimuovere articoli su una vicenda ancora discussa, la richiesta potrebbe essere negata. Google si ispira anche a linee guida europee ufficiali su questi bilanciamenti (come quelle del Comitato Europeo per la Protezione Dati) e alla giurisprudenza UE. Ogni caso è a sé, e non tutti i vostri URL segnalati potrebbero avere lo stesso esito: può accadere che alcuni link vengano rimossi e altri no, se ritenuti di differente interesse.
- Esito: rimozione oppure rifiuto motivato: Se la vostra richiesta viene accolta, Google provvederà a deindicizzare i risultati indicati. In concreto, ciò significa che cercando quel nome (e query correlate) quei particolari link non appariranno più nelle pagine dei risultati di Google. Potreste ricevere una comunicazione di avvenuta rimozione. In caso di rifiuto, Google vi notificherà che non può soddisfare la richiesta, solitamente con una motivazione generica (ad esempio indicando che, dopo verifica, ha ritenuto le informazioni di interesse pubblico o pertinenti). Da notare che un rifiuto iniziale non preclude altre strade: potete valutare se integrare la richiesta con elementi nuovi e riprovare, oppure passare alle vie successive (vedi punto 7).
- Ricorso al Garante Privacy o autorità giudiziaria: Se Google (o altro motore di ricerca) nega la deindicizzazione e ritenete che la vostra istanza sia legittima, avete la possibilità di rivolgervi all’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali presentando un reclamo. Il Garante esaminerà il caso e potrà emettere un provvedimento ordinando al motore di ricerca la rimozione, se ritiene fondata la vostra richiesta. Come visto, diversi cittadini hanno ottenuto soddisfazione in questo modo quando Google era stato inizialmente restio. L’alternativa (non mutuamente esclusiva) è adire le vie legali ordinarie citando in giudizio Google per violazione dei diritti sulla protezione dei dati personali; tuttavia il ricorso al Garante è di solito più rapido e meno costoso. In ogni caso, è consigliabile farsi assistere da un legale esperto in diritto digitale se si arriva a queste fasi, specie per preparare documentazione e argomentazioni solide.
- Estensione ad altri motori di ricerca: Ricordate che la richiesta a Google non vale automaticamente per gli altri motori (Bing, Yahoo, ecc.). Se i risultati problematici compaiono anche su altri search engine, dovrete inoltrare analoghe richieste su ciascuno (molti offrono moduli simili a quello di Google). Inoltre, la deindicizzazione concessa da Google in Europa normalmente si applica alle versioni europee (come google.it, google.fr, ecc.) e ai risultati visibili dagli utenti europei, ma non necessariamente al dominio google.com globale – questo in ottemperanza ad una sentenza della Corte di Giustizia del 2019 che ha ritenuto non obbligatorio per Google rimuovere globalmente i risultati, bensì solo nell’UE. Google tuttavia adotta misure per impedire l’accesso ai risultati rimossi anche da altre giurisdizioni (ad esempio mediante geoblocking), a tutela effettiva dell’interessato.
In conclusione, la procedura per esercitare il diritto all’oblio su Google richiede un po’ di pazienza e precisione nel fornire le informazioni. È importante fornire quante più informazioni utili a dimostrare le proprie ragioni e tenere presente che dall’altra parte c’è una valutazione umana e giuridica che cercherà di equilibrare la tua privacy con il diritto all’informazione.
⚠️ Attenzione: ciò che scrivi nel modulo Google può fare la differenza.
Compilare correttamente il modulo per la deindicizzazione non è una formalità. Ogni parola che inserisci sarà valutata giuridicamente e potrà influenzare in modo decisivo l’esito della tua richiesta.
✍️ Una spiegazione imprecisa o mal formulata può portare al rigetto, costringendoti a sostenere costi maggiori per adire successivamente il Garante Privacy o l’Autorità giudiziaria.
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Esempi pratici di rimozione di url da Google: Richieste accolte e respinte
Per comprendere meglio i criteri applicati in concreto, è utile esaminare alcuni casi reali o esemplificativi di richieste di diritto all’oblio, sia quelle andate a buon fine che quelle rigettate. Di seguito presentiamo alcuni esempi pratici, che aiutano a illustrare dove passa il confine tra ciò che può essere “dimenticato” online e ciò che invece resta visibile per interesse pubblico.
- Esempio 1 – Richiesta Accolta (notizia obsoleta su persona privata): Un cittadino comune era comparso anni fa in un articolo locale per una vicenda giudiziaria minore, poi archiviata senza colpevoli. A distanza di molto tempo, quel vecchio articolo (peraltro non aggiornato con l’esito finale) continuava ad apparire cercando il suo nome, causandogli pregiudizio nella vita privata e professionale. Egli ha inviato richiesta di deindicizzazione a Google, motivando che l’informazione era superata e non più di pubblico interesse. Google, valutati i fatti, ha accolto la richiesta: il contenuto è stato rimosso dai risultati per il nome dell’interessato, riconoscendo che la notizia era “irrilevante” rispetto alla sua situazione attuale e non c’era un interesse pubblico concreto a mantenerla facilmente accessibile. Questo caso riflette esattamente lo scopo del diritto all’oblio: tutelare una persona da un perpetuo collegamento online a eventi passati e ormai insignificanti.
- Esempio 2 – Richiesta Accolta (dati personali sensibili e non pertinenti): Una professionista ha scoperto che cercando il suo nome su Google compariva un vecchio articolo di cronaca mondana, in cui venivano rivelati dettagli sulla sua salute e vita privata (per esempio, menzionando una sua passata malattia) che nulla avevano a che vedere con la sua vita pubblica o lavorativa. Ritenendo quella divulgazione lesiva della propria privacy e non giustificata da alcun interesse collettivo, ha chiesto la rimozione. In casi simili, sia Google che il Garante tendono a dare ragione all’interessato: le informazioni sulla salute o altri dati sensibili, se non strettamente necessari all’interesse pubblico, devono essere protetti. Infatti, Google afferma di essere molto propenso a rimuovere contenuti contenenti dati sensibili non consensuali. L’esito è stato positivo: l’articolo è stato deindicizzato per le ricerche col suo nome, pur restando presente nel sito per chi volesse leggerlo senza identificarla direttamente.
- Esempio 3 – Richiesta Parzialmente Accolta (cronaca giudiziaria e riabilitazione): Un uomo, già condannato in passato per un reato, ha scontato la sua pena e ottenuto la riabilitazione. Sul web però erano ancora presenti numerosi articoli che raccontavano dettagli del suo arresto e processo. Egli ha chiesto di “sparire” dai motori di ricerca, sostenendo che quei fatti, pur veri, appartenevano ormai al passato e che continuare a metterli in luce ne ostacolava il reinserimento sociale. In questo scenario, l’esito può essere misto: alcune testate giornalistiche potrebbero autonomamente decidere di aggiornare o anonimizzare il nome nei loro archivi, e Google può rimuovere i link più dannosi, ma probabilmente non tutti. Nel caso specifico, il Garante Privacy – a cui l’uomo si è rivolto dopo la parziale reticenza di Google – ha stabilito che gli articoli dovevano restare negli archivi online per il loro valore storico, ma che non vi fossero più ragioni attuali per trovarli tramite Google. Ha dunque ordinato la deindicizzazione degli URL relativi a quella vicenda. L’uomo ha così ottenuto che cercando il suo nome non comparissero più riferimenti diretti al vecchio reato, pur rimanendo accessibili le informazioni a chi, per motivi di cronaca o ricerca, consultasse gli archivi dei giornali. Questo caso evidenzia la soluzione di compromesso spesso adottata: oblio “nei motori di ricerca” ma non nei libri di storia, per così dire.
- Esempio 4 – Richiesta Respinta (personaggio pubblico e fatto di interesse storico): Un ex politico locale, condannato alcuni anni fa per un caso di corruzione amministrativa, ha chiesto di rimuovere dai risultati di ricerca le notizie sulla sua vicenda, sostenendo di aver diritto all’oblio dopo aver scontato la pena. In questo caso, sia Google che il Garante hanno negato la rimozione: trattandosi di un ex consigliere comunale, il fatto per cui è stato condannato riguarda la gestione della cosa pubblica e conserva un rilievo per la comunità locale (anche per valutare la sua figura qualora cercasse di tornare alla vita pubblica). Come riportato, “prevale l’interesse pubblico a conoscere le notizie” su quell’episodio, ragion per cui la richiesta è stata giudicata infondata. Analogamente, richieste presentate da persone che sono state protagoniste di eventi di grande portata storica o sociale – ad esempio ex terroristi, figure coinvolte in scandali finanziari di primo piano, ecc. – vengono in genere respinte: il diritto all’oblio non può cancellare fatti che sono parte della memoria storica o che servono a mettere in guardia la collettività. Il caso dell’ex terrorista degli anni di piombo citato in precedenza rientra proprio in questa categoria: la sua istanza di deindicizzare 12 pagine web sui suoi trascorsi criminali è stata respinta, con la chiara motivazione che su crimini così gravi e significativi “deve ritenersi prevalente l’interesse del pubblico” a poterne accedere.
Questi esempi aiutano a delineare il confine: il diritto all’oblio tutela principalmente persone comuni o vicende private non più attuali, mentre arretra di fronte a figure pubbliche o fatti ancora di interesse pubblico o storico. Naturalmente esistono molte sfumature intermedie, e ogni caso concreto viene valutato nei suoi specifici dettagli.
Strumenti alternativi o integrativi: rimozione dei contenuti alla fonte e anonimizzazione
Richiedere la deindicizzazione ai motori di ricerca non è l’unica strada per gestire informazioni indesiderate online. In molti casi, anzi, è opportuno affiancare o precedere la richiesta di oblio con altri strumenti integrativi, che mirano a intervenire direttamente sul contenuto originario.
- Rimozione o modifica alla fonte: Il metodo più efficace per “far sparire” un contenuto personale da internet è agire sul sito web che lo ospita. Se avete il controllo diretto del contenuto (ad es. un vostro post social, un blog personale), eliminatelo o rendetelo privato. Se invece il contenuto è pubblicato da terzi (un articolo di giornale, un post su un forum altrui, una foto caricata da altri, ecc.), potete provare a contattare il webmaster o l’editore del sito chiedendone la rimozione o l’aggiornamento. In base al GDPR, avete il diritto di ottenere la cancellazione dei dati personali direttamente dal titolare del trattamento quando ne ricorrono i motivi (dati non più necessari, trattamento illecito, revoca del consenso, ecc.). Molte testate giornalistiche online, ad esempio, hanno politiche per cui – a fronte di una richiesta motivata e documentata – possono aggiornare un vecchio articolo (inserendo l’esito di un procedimento) o persino rimuovere il nome di una persona dall’archivio (anonimizzazione) se la vicenda è remota e la persona è completamente estranea alla vita pubblica attuale. Va detto che le testate non hanno un obbligo generale di aggiornare o cancellare le notizie d’archivio, ma possono farlo volontariamente o su specifica disposizione dell’Autorità in casi eccezionali. In ogni caso, tentare un approccio cordiale con chi gestisce il sito può risolvere il problema alla radice: se il contenuto viene rimosso dal web, anche Google non lo indicherà più (dopo qualche tempo dall’eliminazione, il risultato scomparirà automaticamente, oppure se ne può sollecitare la rimozione immediata dalla cache tramite gli strumenti per webmaster di Google).
- Anonimizzazione dei dati personali: Una soluzione intermedia, spesso utilizzata per gli archivi giornalistici, è l’anonimizzazione. Consiste nel rimuovere il nome della persona dall’articolo o dal contenuto in questione, sostituendolo magari con le iniziali o con una descrizione generica (“un uomo di 40 anni di Milano…”). In tal modo l’articolo rimane disponibile e comprensibile nel suo contesto, ma non è più direttamente riconducibile a quella persona attraverso i motori di ricerca. Questa pratica tutela la “memoria” del fatto senza continuare ad esporre l’individuo. L’anonimizzazione viene spesso applicata quando il fatto narrato ha ancora rilievo pubblico in sé, ma la menzione nominativa dell’individuo non aggiunge valore all’informazione (tipicamente perché l’individuo era una persona comune). Ad esempio, diversi quotidiani hanno iniziato ad anonimizzare i nomi dei protagonisti di cronache minori dopo alcuni anni, proprio per evitare di dover cancellare gli articoli ma al contempo rispettare il diritto all’oblio delle persone coinvolte. Se vi trovate in una situazione del genere, potete chiedere all’editore la sostituzione del vostro nome con un riferimento anonimo: una volta che ciò avviene, anche Google non assocerà più quell’articolo alle ricerche sul vostro nome (poiché il nome non vi compare più in testo).
- Dereferenziazione interna al sito: Un altro strumento tecnico è l’uso di metatag o istruzioni sul sito sorgente per indicare ai motori di ricerca di non indicizzare una certa pagina o immagine. I webmaster possono inserire, ad esempio, un meta tag
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con valore “noindex” nella pagina contestata, così che tutti i motori (Google compreso) la rimuovano dagli indici senza eliminarla. In qualche caso, il Garante Privacy stesso ha ordinato agli editori di adottare queste misure tecniche per risolvere i reclami, come visto nell’esempio della donna riabilitata: il Garante ha imposto al quotidiano di “adottare misure tecniche idonee ad inibire l’indicizzazione dell’articolo” nei motori di ricerca. Questa soluzione è funzionalmente simile a una deindicizzazione “forzata”, ma parte direttamente dalla fonte. - Relegare il contenuto (downgrade): In alcuni casi, se la rimozione completa non è possibile, si può agire per rendere il contenuto meno visibile: ad esempio eliminando tag, categorie o link interni che lo mettono in evidenza, o spostandolo in una sezione archivio non facilmente raggiungibile. Questo ovviamente non garantisce che scompaia dai motori, ma può ridurne il ranking e quindi l’impatto.
Va sottolineato che l’approccio migliore spesso è combinare più strategie: chiedere la deindicizzazione ai motori econtemporaneamente cercare di far rimuovere o modificare il contenuto all’origine. Così si aumenta la tutela: anche se qualcuno dovesse imbattersi nella pagina in altro modo, il contenuto potrebbe essere stato depotenziato (es. senza nome, o aggiornato con l’esito positivo per l’interessato). Inoltre, intervenire alla fonte è l’unico modo per sanare davvero la presenza online, mentre la sola deindicizzazione riguarda solo la visibilità tramite ricerca. Ad esempio, se un forum diffonde informazioni personali lesive, l’ideale è ottenere dai moderatori la cancellazione del post; se ciò non avviene, la deindicizzazione da Google almeno riduce la reperibilità, ma il contenuto rimane lì.
Infine, ricordiamo gli strumenti di tutela aggiuntivi previsti dalla legge in caso di contenuti illeciti: se una notizia è diffamatoria, o un video è lesivo della privacy (si pensi al revenge porn, sfortunatamente diffuso), si può ricorrere all’autorità giudiziaria per ottenerne la rimozione d’urgenza e per chiedere il risarcimento dei danni. Il diritto all’oblio non sostituisce queste tutele, ma le integra: spesso è opportuno far valere sia i propri diritti in sede legale (denunciando un abuso), sia chiedere contestualmente a Google di eliminare il risultato, per arginare immediatamente la diffusione.
🛠️ La deindicizzazione non è l’unica strada: intervieni alla fonte per proteggere davvero la tua reputazione online.
Prima ancora di chiedere la rimozione dai motori di ricerca, valuta strumenti integrativi e più incisivi:
✔️ Rimozione diretta dei contenuti dal sito web che li ospita
✔️ Anonimizzazione del tuo nome da articoli o archivi
✔️ Dereferenziazione tecnica per escludere le pagine dagli indici di Google
✔️ Downgrade del contenuto per ridurne visibilità e impatto🔒 La strategia più efficace? Agire su più fronti.
Un intervento alla fonte rafforza la tua posizione, previene nuovi danni e accelera l’efficacia della tutela.📩 Contattami per un’analisi concreta del tuo caso e una strategia completa, combinando diritto all’oblio, rimozione e difesa legale, se necessario. Non aspettare che il danno si estenda. Agisci oggi.
Limiti ed equilibri etici: diritto all’oblio vs. diritto di cronaca e interesse pubblico
Come emerso più volte, il diritto all’oblio vive in perenne equilibrio con altri diritti fondamentali, primo fra tutti il diritto di cronaca (libertà di stampa e di espressione) e, più in generale, il diritto del pubblico a essere informato su fatti di interesse collettivo. Si tratta di bilanciare la privacy individuale e la memoria storica della società. Questa tensione solleva varie considerazioni etiche e giuridiche.
Da un lato, è evidente l’importanza per l’individuo di poter voltare pagina e non essere perseguitato all’infinito dal proprio passato online. Il web e i motori di ricerca hanno una “memoria” potentissima: anche uno scivolone giovanile, o una notizia vera ma vecchissima, possono ricomparire continuamente e stigmatizzare una persona, influenzando opportunità di lavoro, relazioni sociali, vita familiare.
Il diritto all’oblio nasce proprio dall’esigenza di tutelare la dignità e la reputazione personale di fronte a questa memoria digitale permanente. È un diritto che esprime anche un senso di empatia e di seconda chance: la società riconosce che le persone possono cambiare, crescere, riscattarsi, e che non sarebbe giusto ridurre un individuo per sempre ai fatti commessi (o subiti) in passato, se questi non sono più rilevanti. Si pensi a chi ha avuto una piccola condanna in gioventù e poi ha condotto una vita onesta: è eticamente condivisibile permettergli di non avere quel marchio ogni volta che qualcuno lo cerca su Google, a patto che ciò non leda interessi altrui.
Dall’altro lato c’è però l’interesse pubblico e il diritto di cronaca, che garantiscono trasparenza e conoscenza dei fatti. Una democrazia sana si fonda sul principio che la stampa possa documentare eventi e persone, e che questa documentazione resti fruibile per capire il presente e il passato.
Cancellare o nascondere troppe informazioni potrebbe significare riscrivere la storia o impedire al pubblico di conoscere elementi rilevanti (ad esempio sapere se un candidato politico ha avuto trascorsi giudiziari). Per questo le norme prevedono che il diritto all’oblio non debba mai comprimere indebitamente la libertà di informazione: come dice il GDPR, non si può ottenere la cancellazione dei dati se il loro trattamento è necessario per esercitare il diritto di cronaca o a fini di archiviazione storica.
Il Garante Privacy stesso ha sottolineato che gli archivi online dei giornali svolgono una funzione fondamentale di documentazione storica e che “un articolo ha valore di documento storico e in quanto tale non può essere cancellato”. Questo richiama un valore etico: la memoria collettiva non va manipolata. Per citare un caso concreto, nel negare l’oblio all’ex terrorista, il Garante ha in pratica difeso “il diritto alla storia” – ossia il dovere di conservare la memoria di fatti che hanno segnato il Paese.
⚖️ Diritto all’oblio e diritto di cronaca: due valori da bilanciare, non da contrapporre.
Se ti senti prigioniero di informazioni che non rispecchiano più la tua vita, hai diritto a essere tutelato, ma sempre nel rispetto della memoria storica e dell’informazione pubblica.
📌 Ogni richiesta di deindicizzazione richiede equilibrio, argomentazioni solide e consapevolezza giuridica.
Per questo è fondamentale agire con cautela, valutando ogni elemento alla luce della normativa e della giurisprudenza più recente.🤝 Affidati a un legale esperto per difendere la tua reputazione senza ledere il diritto alla verità.
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Il confine tra i due diritti non è fisso ma va tracciato con buon senso e proporzionalità. Alcuni criteri etici emersi dalla prassi:
- Rilevanza pubblica attuale: se una notizia riguarda vicende e persone ancora al centro dell’interesse pubblico, eticamente prevale la trasparenza. Se invece l’interesse è puramente morboso o gossip del passato, prevale la privacy. Ad esempio, è giusto che restino accessibili le notizie su condanne per corruzione di amministratori pubblici, mentre non è necessario tenere in prima pagina errori commessi da un privato cittadino molti anni fa.
- Gravità e impatto sociale: più un fatto è grave o emblematico (crimini, scandali storici), più c’è una responsabilità etica nel non censurarlo. Viceversa, per fatti minori l’oblio non danneggia nessuno in modo apprezzabile.
- Ruolo della persona: chi assume ruoli pubblici accetta implicitamente maggior esposizione mediatica; fa parte del patto sociale (il cosiddetto “argomento del pubblico interesse”). Per costoro il diritto all’oblio è affievolito. Diversamente, per i cittadini comuni vale il principio dell’oblio del trascorrere del tempo, in base al quale dopo un certo periodo devono poter recuperare la piena riservatezza, se lo desiderano.
- Veridicità vs falsità: rimuovere contenuti veri (anche se datati) è più problematico eticamente che rimuovere contenuti falsi. Su notizie false non c’è interesse di conoscenza da tutelare, quindi l’oblio coincide con la giustizia (rettificare un errore). Su notizie vere ma scomode, l’oblio va valutato con prudenza per non cadere in revisionismi.
- Contesto e proporzione: un concetto chiave è la proporzionalità. Se un singolo nome in un mare di dati pubblici non è essenziale, si può oscurare quel nome (es. anonimizzazione) lasciando intatta l’informazione di contesto. Questo spesso è un compromesso eticamente accettabile: l’evento resta noto, ma la persona viene “liberata” dal peso pubblico, specie se era marginale nella storia.
In definitiva, il diritto all’oblio va visto non come uno strumento di censura, ma come un mezzo di equilibrio tra memoria e oblio. Come ha osservato anche la Corte UE, la protezione dei dati non è un diritto assoluto, ma va considerata in relazione alla funzione sociale e bilanciata con gli altri diritti. Il suo esercizio richiede responsabilità: chi ne fa richiesta dovrebbe farlo in buona fede (per questioni veramente lesive e non per nascondere informazioni di pubblico interesse), e chi lo applica (motori di ricerca, autorità) deve soppesare con attenzione ogni elemento. L’etica del diritto all’oblio sta nel trovare il giusto punto di incontro: permettere alle persone di non essere prigioniere del passato, senza per questo cancellare la storia né limitare la libertà di informazione più del necessario.
⚖️ Il diritto all’oblio non è censura: è equilibrio tra giustizia e memoria.
Ogni caso richiede buon senso, proporzionalità e competenza giuridica.
Non tutte le notizie vanno rimosse, ma non tutte meritano di restare per sempre accessibili.🔍 Se ritieni che il tuo nome sia associato online a contenuti non più giustificati, posso aiutarti a valutare:
– Se prevale la tua privacy
– Se vi sono elementi di marginalità, obsolescenza o falsità
– Se si può ricorrere a soluzioni proporzionate come la deindicizzazione o l’anonimizzazione📩 Richiedi una consulenza legale mirata: ti aiuterò a far valere i tuoi diritti con responsabilità, trasparenza e rigore. Difendere la tua reputazione è possibile. Fallo nel modo giusto.
Concludendo, il diritto all’oblio rappresenta uno strumento fondamentale per “rimuovere contenuti personali online” divenuti ingiustamente pregiudizievoli, attraverso la deindicizzazione su Google e altri motori di ricerca, nel rispetto delle leggi europee (GDPR) e nazionali. È un diritto da esercitare con consapevolezza, sapendo che ogni caso è unico e che il bilanciamento tra oblio e memoria è parte integrante del suo utilizzo. Privati cittadini e professionisti possono appellarvisi per tutelare la propria reputazione e privacy, contando su procedure ad hoc e sul supporto del Garante Privacy. Al tempo stesso, la società nel suo complesso vigila affinché questo diritto non diventi strumento di censura, ma resti una garanzia equilibrata a tutela della dignità individuale nell’era digitale.