Sostituzione di persona nel web: quando è reato?

Fingersi un’altra persona o millantare qualità inesistenti è un comportamento che, in certi casi, può avere gravi conseguenze civili e penali. 

In questo articolo esploreremo il reato di sostituzione di persona – e le sue implicazioni nel mondo digitale – al fine di comprendere quali condotte potrebbero essere penalmente sanzionate.

Il reato di sostituzione di persona, pensato per punire falsità personali tipiche dell’epoca analogica (es: mi faccio credere single per sedurre l’amante), trova infatti applicazione anche rispetto alle falsificazioni digitali quali il furto d’identità nei social network, la creazione di profili “falsi”, il phishing, il deepfake, etc.

In un mondo governato dall’ossessione di apparire a tutti i costi e manipolato dai “filtri” di un device che permette facilmente di rappresentarsi per quello che non si è, le ipotesi di falsificazione personale diventano sempre più frequenti, se non addirittura connaturate al nuovo modo di “essere” della società virtuale. 

Quindi, basta apparire diversi per incorrere nel reato di sostituzione di persona? È sufficiente creare un profilo social con un’immagine falsa o con un nome diverso per essere penalmente sanzionati? 

Scopriamolo insieme… 

Sostituzione di persona nel codice penale: elemento oggettivo

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in erroresostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”

Art. 494 c.p.

La condotta ingannatoria – che si traduce nella falsità personale finalizzata ad indurre taluno in errore – costituisce l’elemento oggettivo del reato di sostituzione di persona che, disciplinato dall’art. 494 c.p., prevede sostanzialmente due forme di inganno.

La prima condotta consiste nello “spacciarsi” per un’altra persona (anche immaginaria), la seconda nel rappresentarsi con un nome e/o uno stato e/o delle qualità – a cui la legge ricollega effetti giuridici – diverse dalla propria.

La norma non specifica quali attributi sociali falsi integrino la sostituzione di persona e lascia quindi ampia discrezionalità nel considerare integrato il reato anche quando si utilizzino elementi identificativi peculiari quali il nickname o profili social distorti o tali da rappresentare qualità personali diverse da quelle realmente esistenti, purché tali da avere una rilevanza giuridica rispetto agli effetti ingannevoli che gli stessi possono avere. 

Ciò in quanto il profilo digitale riflette una specifica identità personale che permette alla persona di rappresentarsi nel mondo esterno, intessere relazioni sociali o concludere negozi giuridici. L’uso di un’identità digitale falsa o modificata può quindi confondere o ingannare gli altri utenti che sulla lealtà di quella rappresentazione hanno fatto affidamento.

Per tale motivo la falsificazione personale deve essere valutata caso per caso e ciò al fine di attribuire alla “falsità” una reale e diretta incidenza sulla sfera giuridica di un soggetto. Millantare una particolare professione potrebbe, ad esempio, avere rilevanza in alcune circostanze ma risultare del tutto ininfluente in altre ipotesi. Soprattutto se la legge non ricollega a quella qualifica professionale degli effetti giuridici tipici.

Sostituzione di persona ed elemento psicologico del reato

Da quanto premesso sembrerebbe quindi che il comportamento ingannevole di colui che crea un’identità falsa o comunque non corrispondente a quella reale, sia sufficiente ad integrare il reato di sostituzione di persona.

La norma però aggiunge un ulteriore elemento che incide sull’elemento psicologico del reato, ossia sulla coscienza e volontà della vittima di commettere il fatto delittuoso previsto dalla legge 

Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno”

Art. 494 c.p.

Affinché sussista il reato di sostituzione di persona è necessario che la finalità dell’inganno sia quella di arrecare un danno alla vittima o un vantaggio per se stessi. Vantaggio che, tuttavia, può essere anche non patrimoniale.

L’art. 494 c.p. fa infatti riferimento al vantaggio e non al profitto e quindi a condotte che possono procurare qualunque “facilitazione” che potrebbe essere rappresentata da qualsiasi bene immateriale e quindi anche dalla semplice visibilità in un contesto virtuale.

È peraltro irrilevante che il vantaggio sia ingiusto o effettivamente raggiunto poiché è sufficiente che lo scopo perseguito attraverso l’attività ingannevole sia finalizzato al soddisfacimento di un interesse personale che potrebbe anche corrispondere alla semplice vanità.

Sostituzione di persona: è necessaria la querela della vittima?

Il reato di sostituzione di persona lede sia la fiducia della singola vittima sia la fede pubblica, intesa quale affidamento che i consociati ripongono in alcuni atti, simboli o oggetti, documenti, etc, destinati a circolare in una data comunità sociale, anche virtuale.

Per tale motivo il delitto è perseguibile d’ufficio. Ciò significa che non è necessaria le querela della vittima affinché l’autorità giudiziaria promuova l’azione penale. 

È invece sufficiente la semplice notizia di reato. Informazione che può giungere a conoscenza dell’autorità giudiziaria attraverso qualsiasi mezzo e/o modalità ed indipendentemente dalla volontà della persona offesa di procedere penalmente contro l’autore dell’inganno.

Sostituzione di persona: casistica 

Dunque, data la “genericità” della norma, al fine di comprendere la concreta sussistenza del reato di sostituzione di persona, potrebbe essere utile analizzare alcune ipotesi tratte da casi giurisprudenziali.

Il reato sussiste, ad esempio, quando ci si attribuisce un falso nome al fine di relazionarsi con soggetti che, altrimenti, non gli avrebbero concesso la loro amicizia e confidenza. In tale fattispecie potrebbe quindi rientrare la creazione di account falsi che permettono di accedere ad una determinata community.

Il reato sussiste anche nel caso in cui l’autore si attribuisca falsamente una qualifica professionale per compiere atti che, anche se non riservati in via esclusiva ai soggetti dotati di speciale abilitazione, siano comunque ad essa connessi, poiché a tale qualifica la legge ricollega gli effetti giuridici tipici della professione (es: l’utente che si spaccia per avvocato al fine di chiedere certificati anagrafici)

Commette il reato di sostituzione di persona anche chi, iscrivendosi ad un sito di incontri con un nickname, fornisce agli altri utenti un numero di cellulare, apparentemente proprio ma, in realtà, appartenente ad altri. Oppure chi si iscrive ad un social network con un falso nome al fine di entrare in contatto con l’ex compagno che l’aveva bloccato. Ovvero chi si finge una persona di sesso diverso da quello reale.

Abbiamo detto che anche la falsa attribuzione di una qualifica professionale può integrare il reato quando è funzionale ad ottenere un vantaggio che può consistere nel semplice corteggiamento o nel desiderio di aumentare la propria visibilità o di fare nuove conoscenze.

Non importa tra l’altro che il risultato ingannevole sia raggiunto. Nell’ipotesi in cui, ad esempio, un utente si accorga immediatamente della falsità di un profilo, bloccando il contatto o respingendo la richiesta di amicizia, il reato di sostituzione di persona potrebbe comunque configurarsi, seppur nella forma tentata, avendo l’agente adottato atti idonei (e non equivoci) a realizzare l’induzione in errore della vittima.

Per integrare il reato basta quindi utilizzare il proprio profilo Facebook con la foto di un’altra persona realmente esistente oppure utilizzare un nome o addirittura un nickname di un personaggio famoso. Infatti anche gli pseudonimi, molto utilizzati in rete, assumono una dimensione concreta, idonea a produrre effetti reali nella sfera giuridica altrui. Pertanto in assenza di dubbi sulla riconducibilità del nickname ad una persona fisica, lo stesso assume valore di “contrassegno identificativo” e può quindi condurre all’accertamento di una responsabilità penale. 

In tal caso non è richiesta la realizzazione di un particolare evento laddove l’induzione in errore potrebbe concretarsi anche nella semplice accettazione di un’amicizia, nello scambio di messaggi, nell’acquisire like, o, in generale, nell’interagire con gli altri utenti. 

Occorre rilevare che non è illecito avere diverse identità virtuali ma non è ammesso sfruttarle per ingannare gli altri al fine di danneggiarli e/o di procurarsi un vantaggio.

L’induzione in errore è quindi l’elemento che caratterizza il reato di sostituzione di persona. Se non vi è interazione con terze persone non può realizzarsi una condotta offensiva.

Facebook, ad esempio, nelle proprie condizioni contrattuali, non ammette la registrazione dell’account sotto falsa identità. Ciò non toglie però che le semplice creazione di un account falso che, tuttavia, rimane privato e inutilizzato, non assume rilevanza penale ma eventualmente solo civilistica, sanzionabile con la risoluzione del contratto da parte della Piattaforma ossia con la disabilitazione del profilo.

Un altro aspetto interessante riguarda la creazione di un personaggio di fantasia all’interno di una realtà virtuale che tutti gli utenti sanno essere fittizia. Questa situazione potrebbe ad esempio verificarsi all’interno di un gioco di ruolo on line o in un metaverso utilizzato a tale scopo. La consapevolezza alla partecipazione ad una realtà artefatta e immaginaria esclude all’origine l’induzione in errore.

Per analogo motivo neppure può dirsi accertato il reato di sostituzione di persona nel caso in cui un utente assuma le vesti di un personaggio di fantasia. Spacciarsi per un’altra persona, anche inesistente, potrebbe trarre in inganno qualcuno che lo crede un soggetto diverso da quello conosciuto. Farsi credere Superman invece configurerebbe un reato impossibile data l’obbiettiva impossibilità di credere in un uomo dotato di superpoteri. Pertanto, in questi ipotesi, in mancanza di altri elementi, il reato non sussiste.

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Sostituzione di persona e acquisizione delle prove digitali

Quando la sostituzione di persona avviene con modalità informatiche (es: furto d’identità sui social network, creazione di account falsi in siti d’incontri, etc) si potrebbero presentare dei problemi legati ad una corretta acquisizione delle prove volte ad identificare l’autore del reato e il fatto incriminato.

Ai fini probatori si dovrebbero sempre osservare i principi dettati dalla L. 18.3.2008, n. 4 che, recependo la Convenzione di Budapest sul cybercrime, ha stabilito che la prova deve essere dotata di alcuni requisiti quali la genuinità, l’integrità e la non ripudiabilità.

Gli screenshot della pagina, in mancanza di altri elementi, potrebbero quindi non essere sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio.

Ad ogni buon conto la difficoltà nell’ottenere alcuni dati informatici, soprattutto se ospitati nei data base delle piattaforme – quali ad esempio l’indirizzo IP, utile a identificare il titolare della linea dati associata – ha portato la giurisprudenza a ritenere accertata l’identità dell’autore del reato anche quando sussistono degli elementi indiziari gravi, precisi e concordanti che consentono di risalire al mittente. Tra questi i precedenti rapporti con la vittima, l’utilizzo di un nickname identificativo, particolari moventi o circostanze che possano associare il profilo falso ad un determinato soggetto.

Tale ricostruzione della prova, oltre ad essere giustificata dalla estrema difficoltà di avvantaggiarsi della collaborazione dei provider, diventa di grande utilità in conseguenza della impossibilità di svolgere indagini informatiche “sotto copertura” ad esempio con la creazione di profilo fake “esca”

La creazione di un profilo “esca” falso integrerebbe infatti il reato di sostituzione di persona – questa volta imputabile all’agente provocatore – che non beneficerebbe della causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p., (esercizio di un diritto o adempimento di un dovere) applicabile solo per alcuni gravi delitti fra i quali non rientra l’art. 494 c.p.

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Sostituzione di persona, phishing, vishing e deepkake

Il phishing è una condotta ingannevole, realizzata per mezzo della rete, generalmente consistente nell’invio di messaggi di posta elettronica, sms, whatsapp, finalizzata a carpire dati personali dell’utente, quali numeri di carte di credito, credenziali di accesso ad account social, etc.

Il phishing potrebbe integrare il reato di sostituzione di persona quando il messaggio viene mandato attraverso una falsa identità rappresentata da un qualsiasi segno distintivo utile ad ingannare la vittima. Frequenti sono gli sms inviati da noti istituti di credito, aziende di trasporto o web agency che invitano a seguire un link per bloccare operazioni bancarie sospette, confermare la consegna di un pacco o la prenotazione di una stanza di hotel.

Chi utilizza artifici e raggiri, quali la falsificazione personale, può quindi rispondere del delitto di cui all’art. 494 c.p. in concorso con i reati di accesso abusivo a un sistema informatico e di truffa. 

L’affinamento di tecniche di ingegneria sociale, unite all’implementazione di strumenti di intelligenza artificiale, hanno potenziato le tecniche di inganno rendendo le false identità sempre più credibili e difficilmente smascherabili.

Con dei software, di facile utilizzo, è oggi possibile creare voci e ritratti ad immagine e somiglianza di persone reali. 

È evidente che anche in queste situazioni il rappresentarsi al telefono (vishing) o addirittura in video (deepfake) con una falsa identità e/o con l’identità di un altro soggetto, al fine di trarre in inganno l’interlocutore, integra il reato di sostituzione di persona, eventualmente in concorso con altri reati.

Sostituzione di persona e responsabilità penale dei Social Network

Il furto del profilo digitale sui Social Network, unitamente alla diffamazione on line, è probabilmente il reato più attuato – e meno perseguito! – nell’attuale società digitale.

Generalmente i profili social vengono hackerati e poi utilizzati come propri dai cybercriminali al fine di commettere frodi a danno di altri utenti. Il furto d’identità si riduce solitamente a poche ore perché la Piattaforma tende ad individuare abbastanza velocemente le attività manifestamente illecite e il furto d’identità e quindi a disabilitare il profilo incriminato.

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In alcuni casi però la sostituzione di persona avviene attraverso la creazione di account nuovi che, mediante l’utilizzo del nome o dell’immagine altrui, facilmente reperibili si internet, assumono l’identità della persona corrispondente. Tali profili vengono generalmente utilizzati per offendere la reputazione della vittima del furto d’identità, mettendola in ridicolo davanti ad un pubblico molto ampio di utenti.

In quest’ultima ipotesi, salvo che il Social Network ravvisi dei comportamenti manifestamente illeciti (truffe on line, caricamento di materiale pedopornografico, etc) non disabilita il profilo falso se non dopo opportune segnalazioni e diffide da parte dell’utente.

Con la disabilitazione dell’account però la lesione dovuta al reato sostituzione di persona potrebbe non cessare definitivamente. Il cybercriminale, intenzionato a perseguire nella propria attività illecita, potrebbe infatti aprire altri profili falsi ogni qual volta la piattaforma disabiliti quelli precedentemente creati. E così all’infinito fintanto che l’autorità giudiziaria non riesca ad identificarlo e perseguirlo. Identificazione che, tuttavia, nella stragrande maggioranza delle ipotesi, richiederebbe la collaborazione del Social Network che dovrebbero fornire l’indirizzo I.P collegato a quel profilo. In mancanza di altri elementi indiziari è infatti praticamente impossibile risalire ai dati dell’utente che opera sotto falso nome.

Occorre quindi stabilire se, in tali ipotesi, potrebbe prospettarsi una responsabilità del Provider per non avere impedito un evento criminoso ed aver quindi concorso, con una condotta omissiva, nella causazione dello stesso.

Un’eventuale responsabilità penale potrebbe infatti risultare utile a rafforzare l’obbligo di una condotta pro-attiva delle Piattaforme – quale quella di evitare che si verifichino nuovi illeciti a danno dell’utente – e ciò al fine di evitare sanzioni che non incidano solo sul patrimonio ma sulla libertà personale degli amministratori della società.

La responsabilità dei Provider in Italia è regolata dal Decreto sul Commercio Elettronico che, tuttavia, disciplina la sola responsabilità civile e non anche quella penale. 

Peraltro, secondo il principio di “neutralità della rete” non esiste un obbligo dei Social Network di filtrare preventivamente i contenuti illeciti e, di conseguenza non esiste una responsabilità civile – e tantomeno penale – per gli illeciti commessi dai suoi utenti. 

La Piattaforma social potrebbe quindi essere ritenuta responsabile solo qualora venga a conoscenza dell’esistenza di un contenuto illecito e non intervenga per la sua rimozione. 

L’art. 17 del D.Lgs. n. 70/2003 sul commercio elettronico prevede infatti l‘assenza di un generale dovere di sorveglianza e un obbligo di intervento subordinato all’effettiva conoscenza dell’illecito. Obbligo che, tra l’altro, stando alla norma, darebbe luogo alla sola responsabilità civile.

L’utente potrebbe ipoteticamente chiedere i danni alla Piattaforma qualora “denunciato” il fatto – anche solo attraverso una diffida – non ottenesse dalla stessa la rimozione del profilo fake segnalato.

Con tutte le difficoltà del caso potrebbe anche ipotizzarsi una responsabilità penale, a titolo omissivo, ex art. 40/2 c.p., del Social Network per non aver impedito un evento che lo stesso aveva l’obbligo giuridico di impedire. Obbligo che potrebbe quindi rinvenirsi nelle norme civilistiche previste dal Decreto Legislativo 70/2023 (ossia nell’obbligo di intervento dopo che è venuto a conoscenza del fatto).

Tuttavia nell’ipotesi in cui il profilo fake, successivamente alla segnalazione, venisse effettivamente chiuso, difficilmente potrebbe prospettarsi una responsabilità del Provider per i successivi account aperti, seppur con le medesime modalità e finalità ingannevoli. Non essendoci un dovere di controllo preventivo o di identificazione degli utenti che si iscrivono alla Piattaforma, nessuna censura potrà essere mossa nei loro confronti.

Se a ciò si aggiunge che l’ordine imposto dall’autorità giudiziaria di comunicare i dati di navigazione degli account deve passare attraverso una rogatoria internazionale – attuabile solo se si procede per un reato riconosciuto come tale dal Paese ove ha sede il social Network – ne risulta che il reato di sostituzione di persona attuato con queste modalità rimane il più delle volte impunito.

Sostituzione di persona e responsabilità amministrativa dei Social Network

La normativa data protection, in particolare l’art. 32/2 GDPR, impone al titolare del trattamento – e quindi al Social Network – di adottare idonee ed adeguate misure di sicurezza e organizzative al fine di rendere meno vulnerabili i propri database, conseguentemente riducendo la possibilità di sostituzioni di persona e accessi abusivi agli account degli utenti. 

Il GDPR ha tra l’altro rafforzato i diritti degli utenti che, con apposita istanza, ai sensi dell’art. 7, possono ottenere l’accesso a tutti i propri dati personali (informazioni e fotografie) detenuti in relazione ai profili aperti a suo nome.

È dunque possibile chiedere la cancellazione e il blocco di un account fake e dei dati illecitamente trattati. 

In difetto di risposta è possibile ricorrere all‘Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali al fine di ottenere, oltre all’accesso alle proprie informazioni, l’eventuale eliminazione di quelle trattate illecitamente

Tale strumento, unitamente alla responsabilità amministrativa dei Provider per non avere adottato idonee misure di sicurezza e organizzative per garantire i diritti degli interessati, potrebbe quindi rivelarsi un valido metodo per contrastare l’utilizzo non autorizzato dei dati degli utenti che subiscono un furto d’identità.

Chiedi una consulenza per presentare reclamo all’Autorità Garante della Privacy

Sostituzione di persona e concorso con altri reati

Il reato di sostituzione di persona è spesso prodromico alla realizzazione di altri delitti che, se attuati ed accertati, darebbero luogo ad una plurima incriminazione.

Il reato di sostituzione di persona può quindi concorrere con altri delitti quali la diffamazione, l’estorsione, la truffa, l’accesso abusivo a sistema informatico, etc. 

La sostituzione di persona concorre ad esempio con l‘estorsione quando l’autore, fingendosi un’altra persona, ottiene immagini o video “privati”, poi utilizzati per ricattare la vittima che, di fronte alla minaccia di pubblicazione, decide di corrispondere delle somme di denaro.

Del pari la sostituzione di persona potrebbe concorrere con la violenza sessuale se le immagini ottenute con l’inganno, vengono poste alla base di un ricatto finalizzato ad ottenere vantaggi sessuali.

La sostituzione di persona potrebbe altresì concorrere con la truffa ogni qualvolta la falsità personale ha quale ulteriore obbiettivo quello di sottrarre, con artifizi e raggiri, delle somme alla vittima.

Oppure potrebbe concorrere con l’accesso abusivo ad un sistema informatico quando il furto dell’identità digitale consegue all’hackeraggio dell’account protetto. Ovvero con il reato di danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici quando i dati contenuti nei profili vengono cancellati.

Spesso la sostituzione di persona concorre con la diffamazione aggravata quando la condotta di chi crea un falso profilo social sia funzionale a ledere la reputazione del soggetto a cui l’identità è stata sottratta.

Il delitto in analisi potrebbe altresì concorrere, nel caso venga utilizzata l’immagine o il nome altrui – purché al fine di procurare un danno o ottenere un profitto – con il reato di illecito trattamento dei dati ai sensi dell’art. 167 Cod. privacy.

Le ipotesi di concorso sono innumerevoli. L’elenco non può certo considerarsi esaustivo. Ciò che sembra però interessante rilevare è che l’integrazione di ogni reato darà luogo ad un cumulo di pena per ogni singola violazione accertata. Presupponendosi un medesimo disegno criminoso, ai sensi dell’art. 81 c.p, si applicherà la pena per il reato più grave, aumentata sino al triplo (cd. cumulo giuridico).

Tale quantificazione di “favore” opera solo qualora l’autore abbia previsto e deliberato in origine ed in via generale l’ ”iter” criminoso. Ossia quando i singoli episodi delittuosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, siano il mezzo per il conseguimento di un unico intento, sufficientemente specifico e rintracciabile sin dalla commissione del primo di essi.

Quando i reati sono invece realizzati per scopi diversi si applica un cumulo materiale consistente nella somma aritmetica delle pene previste per ognuno di essi.