Diffamazione su Facebook: anche se l’indirizzo IP non è stato identificato?

“Ho scoperto di essere stato indagato per il reato di diffamazione aggravata per un messaggio offensivo scritto su Facebook. Dal fascicolo di indagine non risultano accertamenti da parte della Polizia Postale per individuare l’indirizzo I.P del soggetto che l’ha scritto. Posso essere accusato sulla base della semplice presunzione che, poiché il profilo col quale è stato scritto il post è il mio, allora significa che ne sono l’autore? E se mi avessero hackerato l’account?

“Come dimostro la mia innocenza se vengono imputato per diffamazione su Facebook?”

La risposta al quesito, secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, è: 

L’indagine sulla titolarità dell’indirizzo IP da cui risultano spediti i messaggi offensivi non è necessario se esistono elementi logici, desumibili dalla convergenza di plurimi e precisi dati indiziari quali il movente, l’argomento del forum, il rapporto tra le parti, la provenienza del post dalla bacheca virtuale dell’imputato (Cass. n. 38755/2023).

Diffamazione su Facebook: quali prove servono?

Per comprendere come difendersi dall’accusa di diffamazione aggravata per mezzo di Facebook è necessario quindi capire come si forma la prova processuale in ambito penale e cosa è tenuta a dimostrare l’accusa per convincere il giudice che l’imputato è colpevole.

Il processo penale in Italia si basa sul sistema accusatorio. Ciò significa che l’accusa ha l’onere di ricercare le prove finalizzate a dimostrare che la persona è responsabile “oltre ogni ragionevole dubbio”. 

Sussiste infatti una “presunzione di innocenza” per l’imputato che obbliga il Giudice a vagliare in modo attento gli elementi di prova portati alla sua attenzione e ciò al fine di motivare e giustificare il percorso logico che l’ha portato a ritenere accertato il reato.

Alcune prove rappresentano chiaramente la realtà. Ad esempio la testimonianza di una persona che ha visto il soggetto scrivere e pubblicare il post offensivo. Spesso però la prova non descrive precisamente quel fatto (ossia il soggetto che ha scritto e pubblicato il post) ma altri fatti che sono solo indirettamente riconducibili all’oggetto di prova. Ad esempio l’invio di un messaggio da un profilo Facebook potrebbe indirettamente provare che il messaggio è stato scritto dall’utente a cui il profilo appartiene.

Diffamazione su Facebook: quali indizi formano una prova?

La prova indiretta quindi non è nient’altro che un indizio – o un insieme di indizi !!! – utili a risalire al fatto oggetto di prova. Gli indizi vengono elaborati dal giudice attraverso massime di esperienze, leggi scientifiche e statistiche.

Si è parlato di indizi – al plurale – perché il nostro codice di procedura penale prevede che “l’esistenza di un fatto può essere desunta da indizi solo quando essi siano gravi precisi e concordanti” (art. 192 comma 2 c.p.p).

Un solo indizio è quindi inidoneo a provare l’accertamento dei fatti. Tanti indizi potrebbero invece costituire una prova se hanno un elevato grado di fondatezza (cd: gravi), se non sono suscettibili di diversa interpretazione (cd: precisi) e se non siano tra loro contrastanti (cd: concordanza).

Quindi in un processo di diffamazione su Facebook il giudice deve stabilire con certezza l’identità dell’autore del reato. Per raggiungere tale convinzione – in mancanza di una prova diretta – può quindi fare uso di altri elementi indiziari purché riesca a motivare il percorso logico che ha portato ad attribuire all’imputato la paternità dei post diffamatori.

Come posso difendermi dall’accusa di diffamazione su Facebook?

Per difendersi dall’accusa di diffamazione sui social network è quindi necessario offrire una ricostruzione del fatto incompatibile con quella offerta dall’accusa. Occorre ad esempio provare l’assenza di un movente o di precedenti conflitti, l’assenza di un significativo rapporto tra le parti. Oppure, se possibile, il “furto di identità” che, su social network come Facebook, è molto frequente.

Tale dato è, ad esempio, dimostrabile tramite i file di log scaricabili dalla piattaforma Facebook e Instagram. Oppure attraverso una denuncia querela previamente presentata.

Per andare esenti da responsabilità occorre quindi prospettare una ricostruzione credibile della realtà che vada a confutare la “tesi accusatoria” dimostrando che gli indizi portati all’interno del processo – da tutte le parti – siano tra loro discordanti e non portino ad un’unica interpretazione della realtà ovvero ad una versione alternativa che non superi il vaglio del ragionevole dubbio.

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